Il datore di lavoro che contabilizza buste paga superiori rispetto a quanto realmente percepito dai dipendenti si macchia del reato di dichiarazione fraudolenta attraverso l’uso di artifici e non di documenti falsi.
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Lo ha dichiarato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 36900 del 9 settembre 2013, inquadrando questo tipo di comportamento illegittimo proprio come frode fiscale con artifici.
Nella dichiarazione dei redditi non sono stati infatti indicati elementi passivi fittizi ma operazioni esistenti, anche solo parzialmente, per cui l’amministratore dell’azienda non può essere condannato per frode fiscale fraudolenta proprio perché il rapporto di lavoro è esistente anche se al dipendente è stato corrisposto uno stipendio minore rispetto a quello dichiarato, con conseguente evasione d’imposta.
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La prestazione lavorativa che giustifica la busta paga è stata effettuata realmente, pertanto i giudici della Corte di Cassazione ritengono che non sia possibile parlare della dichiarazione di operazioni inesistenti in tutto o in parte, come anche di dichiarazioni che riferiscano l’operazione a un soggetto differente da quelli effettivo.