Un errore frequente che si commette quando si è intenti a negoziare con qualcuno è il focalizzarsi su ciò che si dice, ed ignorare chi lo dice. Ebbene, chi esprime una posizione all’interno di una trattativa, inevitabilmente comunica, in forma esplicita, solo una parte di ciò che realmente vuol dire. Dunque attenersi alle sole parole espresse rischia di essere fuorviante. Ma perché si esplicita solo parte nei nostri pensieri e delle nostre intenzioni?
Innanzitutto, non siamo macchine che comunicano tra loro con lo stesso identico linguaggio (come fanno i computer, ad esempio), senza correre il rischio di fraintendimenti. Ognuno di noi parla un proprio idioletto; ovvero, pur condividendo la stessa lingua con tantissime altre persone, percepiamo ed intendiamo parole e concetti non esattamente nella stessa maniera di una qualsiasi altra persona. La stessa parola, infatti, può avere per noi un significato diverso rispetto a quello attribuitole da un altro. Questa è una verità che sperimentiamo spesso nella vita.
Altro elemento che ci differenzia dalle macchine: l’emotività. Siamo creature con intense emozioni, le quali continuamente influenzano il nostro stato mentale, i nostri comportamenti ed atteggiamenti. Le emozioni interferiscono non poco con l’oggetto dei nostri pensieri e delle nostre conversazioni; i contenuti e le logiche dei nostri ragionamenti, il merito delle questioni devono fare necessariamente i conti con le pulsioni di chi ha interesse in essi, e anche con la mutevolezza di queste pulsioni.
Dunque, prima di entrare nel merito di una trattativa, bisogna affrontare e risolvere le questioni personali, sciogliere i nodi di natura relazionale, allo scopo di potersi poi mettere a lavorare fianco a fianco, con spirito collaborativo e non di contrapposizione, ad una transazione equa ed efficiente. Quindi, quando si guarda alla controparte, non si deve vedere in essa un rappresentante astratto di una categoria: un fornitore, un cliente, un sindacalista, un delegato di un’azienda, un emissario di un’istituzione o di un’organizzazione. Si deve invece vedere la persona, nella sua individualità e specificità.
Questo ci aiuta innanzitutto a liberarci da pregiudizi, da presupposizioni e presunzioni che non sempre trovano conferma nella realtà dei fatti. Altro “effetto benefico” è l’instaurarsi di un atteggiamento di rispetto e comprensione, che viene particolarmente gradito dalla “controparte”, e che porta agli ulteriori stadi della fiducia e dell’amicizia. Se si offre sensibilità, è facile che si ottenga altrettanta sensibilità in cambio. Per conseguenza l’altro sarà più attento alle nostre richieste. Non bisogna dimenticare, tra l’altro, che le persone generalmente posseggono un io che si sente facilmente minacciato. E’ importante dunque neutralizzare i dubbi e le paure.
È bene, dunque, investire nel rapporto con l’altra persona: non ridurre la questione a un semplice scambio, a una compravendita, ma dedicare del tempo alla comprensione dell’altro, e alla costruzione di un clima amichevole e collaborativo.