Le fonti del diritto del lavoro e il rapporto di lavoro dirigenziale

di Carmine Perruolo

9 Settembre 2009 07:00

Analisi delle fonti del diritto del lavoro, caratterizzate dal concorso di una molteplicità di atti che, seppur dotati di un diverso grado di efficacia, hanno la forza giuridicamente riconosciuta di determinare i diritti, i doveri e le facoltà delle parti del rapporto di lavoro

Nel nostro ordinamento giuridico positivo, in via generale, i rapporti di lavoro subordinato sono regolati sia da norme giuridiche che da norme negoziali.

Il rapporto di lavoro dirigenziale non sfugge a questa regola rientrando, a pieno titolo, nell’ambito del lavoro subordinato, secondo quanto previsto dall’art. 2095 c.c.. Le norme giuridiche possono promanare da organismi sopranazionali, quali la Comunità europea (trattati, direttive, regolamenti) o dallo Stato italiano (norme costituzionali, norme di legge ordinaria, atti aventi forza di legge, contratti collettivi – secondo questo ordine gerarchico-); anche gli usi normativi, in mancanza di disposizioni di legge e di contratto collettivo, sono da annoverare tra le fonti (essi, addirittura, se più favorevoli, prevalgono sulle norme dispositive di legge – art. 2078 c.c.-).

Le norme negoziali, invece, promanano dalle associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori che stipulano i c.d. contratti collettivi, o dalle parti individuali del rapporto che stipulano i c.d. contratti di lavoro individuali; in questi ultimi tipi di contratto, l’accordo è raggiunto direttamente dal singolo lavoratore e prestatore di lavoro, prescindendo dagli accordi presi in sede collettiva.

L’applicazione delle disposizioni di riferimento va, in ogni caso, inquadrata nell’ambito del principio del favor lavoratoris, inteso ad equilibrare l’aspetto contenutistico del rapporto di lavoro, in modo che non prevalga la condizione del contraente più forte (datore di lavoro) a scapito della parte più debole (lavoratore).

Analizzando le disposizioni fondamentali di riferimento, si rileva che la Costituzione non regola espressamente il rapporto di lavoro dirigenziale, dettando però norme di carattere generale in tema di lavoro subordinato (es. diritto ad una retribuzione proporzionata e sufficiente -art.36-) che si applicano, di conseguenza, anche ai dirigenti. Alcune norme costituzionali, invece, pur non disciplinando esplicitamente i rapporti di lavoro, dettano principi generali che  hanno una incidenza diretta su quest’ultimi (es. diritto di eguaglianza formale e sostanziale -art.3-, garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo -art.2-, tutela del lavoro -art.35-).

Come detto, l’art. 2095 prevede espressamente che: «I prestatori di lavoro subordinato si distinguono in dirigenti, quadri impiegati ed operai»; da qui deriva , in linea di massima e con le dovute eccezioni (un esempio è dato dalla disciplina prevista per il licenziamento), che ad essi si applicano le norme di legge fondamentale che disciplinano i rapporti di lavoro subordinato, quali ad es. quelle riguardanti la retribuzione, i diritti sindacali, la gravidanza, gli infortuni, ecc.

Per quanto riguarda i contratti collettivi, durante il periodo corporativo (arco temporale che va dal 1926 al 1944, anno in cui, a seguito della caduta del fascismo, l’ordinamento corporativo è stato soppresso), avevano valore di norme giuridiche e, come tali, esplicavano efficacia erga omnes (ossia vincolanti per tutta la categoria di riferimento). La soppressione dell’ordinamento corporativo ha consentito la sopravvivenza dei contratti collettivi corporativi soltanto in quanto non sostituiti da successivi contratti collettivi (D.Lgs. n. 369/1944) o in quanto  recepiti in decreti legislativi (legge 741/1959); conseguentemente, hanno mantenuto la loro efficacia erga omnes.

Ad esempio per i dirigenti di aziende industriali, i contratti collettivi erga omnes sono quelli stipulati tra il 1945 ed il 1949 e recepiti dal D.P.R. 483/1962.

Di fatto, si rileva che la contrattazione collettiva corporativa è stata superata dalla successiva contrattazione collettiva c.d. postcorporativa. I contratti c.d. postcorporativi o di diritto comune vincolano esclusivamente coloro che sono iscritti alle associazioni che li hanno stipulati, oppure i non iscritti che, nel disciplinare il loro rapporto di lavoro individuale, vi si sono voluti adeguare esplicitamente od implicitamente.