Le società che fanno parte del Ftse Mib di Piazza Affari nel 2009 hanno visto una contrazione degli utili intorno al 38%.
La somma dei risultati è pari a 22 miliardi, che si paragonano ai 35 del 2008. Nello stesso periodo, la remunerazione totale degli amministratori delegati di queste società è salita del 6%, passando a 1,882 milioni di euro da 1,770 del 2008, anno in cui invece la somma dei compensi dei top executive era scesa del 20%, pur davanti ad una riduzione degli utili meno evidente, pari al 27%.
Da sottolineare che però nel 2009 sono migliorate le attese sul bilancio seguente. I dati sono contenuti in una ricerca di European House Ambrosetti che analizza la governance delle principali società italiane, attraverso uno specifico indice, l’Esg index, e i meccanismi di remunerazione del manager. Questi ultimi vengono messi in relazione alle performances, e confrontati con quelli dei top manager di altri paesi europei, come Gran Bretagna e Francia.
Innanzitutto, la composizione dello stipendio. La parte variabile composta da bonus e altri incentivi pesa per il 27% sul compenso degli amministratori delegati, mentre è molto più bassa per consiglieri esecutivi, 11%, presidenti esecutivi, 8%, presidenti non esecutivi, 3%, ed è all’1% per consiglieri non esecutivi o indipendenti.
Questi sono dati relativi al 2009, perché nel 2008 e nel 2007 ad esempio i bonus erano più consistenti rispetto al totale dello stipendio, rispettivamente al 38% e 39% per l’ad. In generale in Piazza Affari si rileva una scarsa trasparenza sui sistemi di incentivazione utilizzati.
E veniamo al confronto con l’Europa, per cui sono stati analizzati i dati delle prime venti società quotate, in termini di capitalizzazione, di Italia, Gran Bretagna e Francia. I top executive italiani hanno una parte fissa più importante dei colleghi francesi e inglesi, e in rapporto alla dimensione dell’azienda che gestiscono sono pagati meglio.
In una scala da uno a cento, dove cento è il compenso totale del manager italiano, la Francia è a 37 e il Regno Unito a 27. Nel dettaglio, le 20 società italiane sono più piccole delle colleghe europee: il valore di borsa è metà di quello delle francesi e meno di un quarto di quelle inglesi. L’utile aggregato 2009 è stato di 21 mld, in calo dai 33 del 2008, quello delle francesi pari a 47 mld, anch’esso più basso dell’anno prima (59 mld), mentre i risultati britannici sono cresciuti a 89 miliardi dai precedenti 69.
A fronte di questi dati, i presidenti italiani hanno guadagnato nel 2009 il 22% in più rispetto all’anno prima, contro il +4% degli inglesi e la riduzione del 3% dei francesi, e in termini assoluti la somma dei loro compensi è più alta di quella dei colleghi europei.
I compensi degli ad della Penisola nel 2009 sono rimasti sostanzialmente stabili, registrando anzi una leggerissima riduzione, quelli francesi sono saliti del 6%, quelli inglesi del 22%. Il valore assoluto di questi stipendi è molto simile in tutti e tre i paesi.
Infine, l’Esg Index, che misura l’eccellenza del sistema di governance basandosi su cinque aree chiave: struttura e rappresentanza dell’azionariato, composizione del cda, funzionamento del cda, meccanismi di remunerazione e incentivazione, sistema dei controlli e di gestione dei rischi. Queste ultime due sono le aree che pesano maggiormente all’interno dell’indice, che va da uno a dieci. La top 5 di Piazza Affari vede in testa Banca Intesa, con un 6,90, seguita da Enel, 6,74, Eni, 6,66, Finmeccanica, 6,54, Banco Popolare, 6,53.
Insomma, in Piazza Affari non c’è neanche un 7, e se le prime cinque almeno ottengono un’abbondante sufficienza, la media del Ftse Mib è invece a 5,8. Un peccato, perché sempre dall’analisi si evince che in un buon 60% dei casi le società che vanno meglio sono quelle con una miglior governance.