I manager che ottengono le migliori performances aziendali in genere hanno meno di 50 anni. La situazione invece più difficile è quella in cui il dirigente ha più di 60 anni ed è al comando da troppo tempo.
Sono alcuni dei principali risultati dell’edizione 2010 del consueto rapporto dell’Osservatorio Aud (Aidaf, Unicredit e Bocconi) sulle aziende familiari, che verrà presentato il prossimo primo dicembre, ma di cui il Corriere Economia fornisce diverse anticipazioni.
Innanzitutto, si conferma l’importanza per il tessuto produttivo italiano delle aziende familiari, che mostrano una notevole capacità di reazione davanti alla crisi e continuano a registrare dati migliori delle altre società sotto molteplici aspetti: la redditività operativa (roi), quella sull’investimento azionario (roe), e l’occupazione: nel 2009, anno a cui si riferiscono i dati analizzati, queste imprese hanno registrato un incremento dell’occupazione dello 0,8%, contro i cali, anche pesanti, delle altre aziende: riduzione del 3,5% per società statali ed enti locali, del 20% per le multinazionali, e addirittura del 33,6% per le cooperative e i consorzi. Unico neo, il fatturato, dove le aziende familiari mostrano un arretramento del 14,1%, superiore al -9,4% delle altre.
L’indagine ha preso in esame 2550 imprese familiari sopra i 50 milioni di ricavi. Rispetto allo scorso anno, il campione è cambiato di circa il 13% fra uscite (aziende che sono scese sotto la soglia di fatturato prevista) e nuovi ingressi. Le società uscite appartengono per lo più ai settori del real estate e delle costruzioni, si trovano nel Nord-Ovest e sono guidate da leader più anziani, che spesso hanno più di 60 anni.
Viceversa, quelle che sono entrate quest’anno nel campione, sono guidate da leader giovani e hanno un roe superiore alla media (12%, contro una media dell’8,6%).
Da sottolineare che a ottenere i risultati migliori non sono i leader di fresca nomina, anche in considerazione del fatto che c’è sempre un periodo di adattamento. L’azione manageriale raggiunge il picco di efficacia nel periodo che va dai sei ai dieci anni dalla nomina, dopo di che inizia in genere una fase di declino. Questo principio vale anche quando il capo è il fondatore dell’azienda.
È dunque molto importante la tempistica della rotazione negli incarichi di vertice e, nel caso in cui il leader appartenga alla famiglia proprietaria, una corretta impostazione della fase di successione.
Un trend che emerge dall’indagine, e che prosegue dal 2005, riguarda la sempre maggior apertura al management da parte di società familiari (ad esempio Fratelli Rossetti, Melegatti, e ultimamente Illy, che ha creato la direzione generale affidandola a Gregory Carl Fea, 52 anni, che era alla guida delle attività negli Usa).
Quanto alle performances delle aziende familiari in rapporto a quelle di altro tipo, il roi, return on investment, registra mediamente un incremento dell’1,3%, contro il calo dell’1,5% società non familiari (dato su cui pesa particolarmente il -4,2% delle coperative). Il roe, return on equity, segna un aumento dello 0,7% che si confronta con il -1,3% delle altre aziende. Da segnalare però che questo dato si è ridotto rispetto all’indagine dell’anno scorso, quando il roe era a +1,3%.
Infine l’incremento dell’occupazione, il dato che forse più di ogni altro segnala il forte orientamento sul lungo termine di questa tipologia di aziende. Guido Corbetta, docente di strategia delle imprese familiari della Bocconi, sottolinea questo aspetto e cita una ricerca americana secondo cui le aziende familiari, rispetto alle altre hanno quattro C di differenza: continuità, comunità, contatti e comando.