CEO: “Anche i più brillanti falliscono”

di Massimiliano Santoro

27 Gennaio 2012 16:00

Un professore della Tuck School of Business ha stilato una lista dei peggiori amministratori delegati del 2011. evidenziando passi falsi e debolezze.

Essere amministratori delegati – o CEO per usare un termine internazionale – è un lavoro difficile che spesso comporta scelte importanti  che possono delineare il futuro di un’azienda. Ecco perché bisogna ridurre al minimo il margine di errore e smussare le debolezze del proprio carattere.

Sono queste le linee guida che hanno spinto Sydney Finkelstein, professore di Management alla Tuck School of Business di Dartmouth (nello stato del New Hampshire, nel nordest degli Usa), ed autore del libro “Perché anche i dirigenti brillanti falliscono“, a stilare una lista dei peggiori CEO del 2011 evidenziandone i passi falsi commessi e le loro debolezze.

Per cominciare ci sono gli ex Ceo di RIM, Mike Lazaridis e Jim Balsillie. Per Finkelstein i loro più grandi sbagli sono stati l’incapacità di adattarsi al mercato concorrenziale ed anche la coesistenza come co-amministratori delegati perché, secondo il professore di Management, avere due amministratori  delegati alla guida, ha causato solo confusione e un rallentamento del  progresso:”Il modello basato sul doppio CEO, con due co-amministratori delegati quindi, è una garanzia di  fallimento. Non funziona quasi mai”.

Poi, c’è Leo Apotheker, ex amministratore delegato di Hewlett Packard che, secondo il cattedratico, ha avuto una strategia di esecuzione troppo debole. Dopo Apotheker segue Reed Hastings che guida Netflix. Il perché dell’inserimento nella lista è presto detto:”In effetti, l’idea di dividere la compagnia in due, non è male. In qualche modo, questa è la strategia insegnata nei manuali. Dividere la società in due per proteggere il nuovo business in fase di decollo. Ma in questo caso, è stato un disastro”, spiega Finkelstein. Inoltre: “La capacità di comunicare di Hastings è veramente scarsa, e penso che in molti si siano posti l’interrogativo seguente: cosa c’è di nuovo che altri non abbiano già fatto? E penso in effetti  che non ci sia nulla di nuovo. Questi tipi, che diventano CEO di società come Hewlett Packard e poi sono messi con le spalle al muro, di solito se ne vanno con un assegno di fine rapporto di non meno di 25 o 30 milioni di dollari. Ciò non rende gli azionisti molto felici”.

Infine Sydney Finkelstein cita l’esempio di William Weldon, Ceo di Johnson & Johnson. Qual è il suo punto debole? Per Finkelstein è la negligenza rispetto alla sicurezza dei prodotti: “Un sacco di cose sono andate storte quest’anno e nessuno ne ha mai parlato-spiega Finkelstein. Per un’ azienda come questa, mantenere la politica del silenzio e non  prendere posizione quando si tratta di sicurezza e qualità, penso sia una cosa inammissibile”.