Su 262 società ben 132 hanno una rappresentanza femminile nei Cda ma solo 6 sono in linea con il requisito “a regime” di 1/3 però ci sarà un turnover forzato dei consiglieri maschi pari al 32% in un triennio. Sono questi alcuni dei dati presenti nell’undicesimo rapporto sulla corporate governance delle società quotate pubblicato da Assonime (Associazione fra le società italiane per azioni)-Emittenti Titoli. L’indagine fa riferimento alle 262 società italiane quotate presso Borsa Italiana al 31 marzo 2011.
La perdurante scarsa presenza di donne nei luoghi decisionali è stata sottolineata recentemente anche nel corso dello svolgimento degli “Stati generali sul lavoro delle donne in Italia” anche se qualche piccolo miglioramento sembra intravedersi anche se non a breve bensì nel prossimo triennio.
Il rapporto Assonime-Emittenti Titoli, infatti, spiega che le 262 società oggetto di indagine “hanno complessivamente 2.728 consiglieri: 2.546 uomini e 182 donne (pari al 6,7% del totale), dato, quest’ultimo, in continuo, lieve aumento (erano 169 nel 2010, 125 nel 2006). “Una rappresentanza femminile – si legge nella sintesi dei risultati del rapporto – è presente nei CdA di 132 società, ossia, per la prima volta, in oltre la metà degli emittenti (era il 46% del totale nel 2010, il 34% nel 2006). Solo 27 società hanno un CdA già in linea con la quota “di genere” di 1/5 prevista in fase di prima applicazione della legge 120/2011 (c.d. delle “quote rosa”); il numero di emittenti già in linea con il requisito “a regime” di 1/3 è pari a 6″.
Nel rapporto, però, si legge che, con l’applicazione totale della suddetta legge, si prevede che “il numero minimo di donne da inserire sarà pari a 469 al primo rinnovo e ad ulteriori 351 al secondo rinnovo. In presenza di numeri “piccoli” (qual è quello dei consiglieri) la scelta di fissare un requisito minimo in termini percentuali (con arrotondamento all’unità superiore) produrrà, anzi, una rappresentanza femminile ancora più alta, pari al 24,6% (anziché al 20%) al primo rinnovo e al 37,5% (anziché al 33,3%) in seguito. Ne consegue un turnover forzato dei consiglieri maschi pari al 32% in un triennio”.