La finanza islamica cresce a un ritmo del 10-15% all’anno a livello di assets. Negli ultimi cinque anni i ricavi del settore sono saliti del 44%. E in Italia c’è un potenziale di raccolta pari a 4,5 miliardi di euro al 2015. Lo evidenzia uno studio dell’area Research della Banca Monte dei Paschi.
Le potenzialità di crescita di questo mercato sono sempre più al centro dell’interesse delle istituzioni economiche e finanziarie. La Banca d’Italia ha recentemente organizzato un seminario cui hanno partecipato il Governatore Mario Draghi e i vicedirettori Ignazio Visco e Anna Maria Tarantola. All’inizio del mese di novembre si è svolto un altro seminario, alla Farnesina, organizzato dall’Osservatorio per il Mediterraneo in collaborazione con il Forum Strategico del ministero degli Esteri, dal titolo “Quale opportunità per l’Italia?”.
In Europa Occidentale, ci sono oltre 13 milioni di musulmani, di cui circa 830mila residenti in Italia. Il paese con il maggior numero di istituti che si occupano di questo settore è la Gran Bretagna, con 19 banche (su 26 totali del Vecchio Continente). La Islamic Bank of Britain, prima a operare secondo i principi della sharia nel Regno Unito, ha aperto il primo sportello a Londra nel 2004, e alla fine del 2008, quindi dopo quattro anni, contava 40mila clienti e una raccolta di 153 milioni di euro.
Proprio prendendo come benchmark il bacino clienti di Ibb i ricercatori del Monte dei Paschi hanno stimato le potenzialità della finanza islamica in Italia. Risultato: un milione di clienti (per la precisione, 1 milione 6mila 797) nel 2010, una crescita del 30% al 2015 quando si potrebbero raggiungere, appunto, 1,3 mln di clienti per superare i due milioni e mezzo nel 2050. In termini di ricavi questo significa 106 milioni nel 2010, 169 mln nel 2015 fino a raggiungere quasi 950 milioni nel 2050, con un ricavo potenziale medio per cliente di 200 euro. Quanto alla raccolta potenziale, si misura un ammontare pari a 2851 milioni nel 2010, un aumento del 60%, a quasi 26 miliardi al 2050 (la stima relativa al 2015 è, come detto, intorno ai 4 miliardi e mezzo).
Come è noto, la finanza islamica ha la peculiarità di rispettare i principi della sharia sull’utilizzo del denaro, per cui sono vietati i tassi di interesse, l’incertezza, la speculazione. Sulla base di queste regole, si stanno sviluppando tutta una serie di contratti finanziari. Per esempio, i Sukuku (certificati di investimento paragonabili alle obbligazioni) che a fine 2008 hanno raggiunto nel mondo un valore di 100 miliardi di dollari.
Fra i contratti di impiego ci sono i Musharaka, simili alle joint venture della finanza tradizionale, che si usano per finanziare i progetti a lungo termine, e i Murabaha (gli strumenti di finanziamento più usati), che sono dei contratti di scambio in cui la banca acquista un bene in nome proprio ma per conto di un cliente al quale poi lo rivende a un prezzo più alto ma preventivamente concordato.
La finanza islamica è diffusa in 65 paesi, conta 350 istituzioni bancarie, 500 fondi di investimento e 100 emittenti di sukuk. In Europa, secondo i dati dello studio (riferiti all’ottobre dell’anno scorso), ce ne sono 26 di cui come detto 19 in Gran Bretagna, tre in Svizzera e Francia, una in Germania.