Reati tributari: la riforma

di Francesca Pietroforte

Pubblicato 23 Dicembre 2011
Aggiornato 14 Gennaio 2014 13:48

Con la manovra finanziaria 2011 è mutata la disciplina di numerosi reati tributari. False fatture, mancate dichiarazioni, sanzioni: l'analisi della nuova norma.

Cambia la disciplina dei reati tributari penali, con l’abbassamento delle soglie che li fanno scattare e l’allungamento dei tempi di prescrizione. È una delle novità introdotte dalla manovra estiva, che ha profondamente modificato la disciplina di molti reati tributari, utile strumento per portare a galla le evasioni fiscali e punire chi evade le tasse.

Per la dichiarazione fraudolenta a causa dell’annotazione di false fatture non conta più l’attenuante prevista dalla legislazione precedente (Dlgs 74 del 2000) secondo la quale nel caso di fatturazioni o altri documenti per operazioni inesistenti (ovvero tutti quei documenti emessi in seguito a operazioni non effettuate in tutto o in parte, quelli che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, e quelli che fanno derivare l’operazione oggetto di fattura non ai soggetti effettivamente interessati ma fittizi) per importi inferiori a 154mila 937,07 euro si poteva beneficiare di una reclusione da sei mesi a un anno. Quindi, indipendentemente dalle cifre interessate, per questo tipo di reato si prevede ora una reclusione per un periodo compreso tra uno e sei anni.

È opportuno rilevare che se un contribuente presenta una dichiarazione con fatture fraudolente anche per somme irrisorie rischia da uno a sei anni di carcere, mentre se omette del tutto la dichiarazione rischia al massimo da uno a tre anni, ma solo se l’imposta evasa supera i 30mila euro, al di sotto dei quali non si configura alcun reato penale.

La norma è stata inasprita per tutti i reati riferibili alla mancata presentazione della dichiarazione, rispetto ai quali è stato applicato un abbassamento delle soglie e dell’importo percentuale sanzionabile. In passato la dichiarazione fraudolenta si configurava nel momento in cui si verificavano due fattori: ogni singola imposta evasa superava i 77mila 468,53 euro e l’ammontare complessivo degli elementi attivi esclusi dall’imposizione fiscale era superiore al 5% di quelli dichiarati, ovvero a 1 milione 549mila 370,70. Con la manovra estiva il medesimo reato si configura per imposta evasa superiore a 30 mila euro e l’ammontare complessivo degli elementi fittizi supera il milione.

Anche per la dichiarazione infedele si è posto in atto un inasprimento: se in precedenza l’imposta evasa doveva essere superiore a 103mila 291,38 euro e l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti alla lente del fisco superiore al 10% di quelli dichiarati (ovvero 2.065.827,60), oggi è sufficiente evadere 50mila euro con un ammontare degli elementi attivi superiore a due milioni.

Ultimo aggravio per questo tema in particolare riguarda il reato di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, che prima si realizzava se l’imposta evasa era superiore a 77.468,53 euro, ridotti oggi a 30 mila euro.

Condanna per reati tributari

Finora abbiamo illustrato i reati tributari che sconfinano nel diritto penale, ma cosa avviene in caso di condanna per uno dei reati tributari? Nel caso in cui l’imposta evasa sia inferiore a tre milioni di euro e al 30% del volume d’affari è possibile usufruire della sospensione condizionale della pena (ad eccezione di omessi versamenti, indebite compensazioni e sottrazione fraudolenta).

Le attenuanti di cui il contribuente poteva beneficiare, se prima dell’apertura del dibattimento di primo grado avesse deciso di estinguere i debiti tributari, hanno subito una restrizione. In precedenza la riduzione della pena in seguito ad estinzione del debito con il fisco raggiungeva la metà, ma in futuro non potrà superare un terzo. Inoltre per beneficiare del patteggiamento in sede penale il contribuente deve estinguere ai fini fiscali il debito tributario che costituisce il delitto e corrispondere le sanzioni. Infine la prescrizione per i reati tributari, eccezion fatta per quelli di omesso versamento, indebita compensazione e sottrazione fraudolenta sono stati allungati, passando da sei a otto anni, che nel caso di interruzione salgono a dieci.

L’abbassamento delle soglie analizzato in precedenza rischia di criminalizzare anche i contribuenti che non hanno evaso le tasse, ma che possono essere stati vittima di errori o possono aver sbagliato nell’interpretazione delle norme. Diventa quindi alto il rischio di subire procedimenti penali in seguito ad accertamenti fiscali per irregolarità non fraudolenta, ciò anche alla luce della prassi adottata da Guardia di Finanza e Agenzia delle Entrate, che dovrebbero, come in passato, segnalare costantemente alle procure i casi di superamento delle soglie individuate per i reati a prescindere dal tipo di violazione.

Un esempio può essere fornito dal contribuente che acquista un bene, ma per errore lo deduce in un periodo d’imposta sbagliato: è evidente in questo caso che non ci sia volontà di eludere il fisco.

Allo stesso modo nel caso in cui i ricavi siano di competenza di un anno diverso da quello indicato dal contribuente. È evidente che l’abbassamento delle soglie potrebbe comportare un eccessivo accanimento sui contribuenti (che nel caso di scostamenti che superino i tre milioni di euro non potrebbero nemmeno usufruire della sospensione condizionale della pena), oltre a un intasamento eccessivo degli uffici giudiziari competenti.  La situazione sarebbe ulteriormente aggravata dall’innalzamento dei termini di prescrizione, rispetto ai quali per la maggior parte dei reati tributari si passa da sette a dieci anni.

Entrando nello specifico infatti, i reati di cui agli articoli da 2 a 10 del Dlgs 74 del 2000 (e cioè dichiarazione fraudolenta mediante fatture false o altri artifici, dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, emissione di fatture false, occultamento e distruzione di scritture contabili) sono soggetti all’aumento di un terzo dei termini di prescrizione, che passano così da sei a otto anni. Tuttavia in caso di interruzione indotta da una della cause contenute nell’art. 160 del codice penale, dal verbale di constatazione o dall’atto di accertamento delle violazioni viene aumentato di un quarto, passando quindi da otto a dieci anni.

Sono esclusi dalla modifica i reati compresi negli altri articoli del Dlgs 74 del 2000, vale a dire omesso versamento dell’Iva per importi superiori a 50mila euro, omesso versamento di ritenute operate e dell’indebita compensazione, oltre alle condotte di sottrazione fraudolenta di cui all’art. 11 finalizzate al mancato pagamento delle imposte e alla transazione fiscale.

Tempi allungati anche per quanto concerne il termine di decadenza dell’azione di accertamento ai fini delle imposte dirette e dell’Iva: si è passati da quattro a otto anni nel caso di presentazione della dichiarazione, e da cinque a dieci nel caso di omessa presentazione. I termini sono raddoppiati anche nel caso di violazione che comporti l’obbligo di denuncia come previsto dall’art. 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo n. 74 del 2000, anche in questo caso da quattro a otto anni.

Inoltre sono state ridefinite delle tipologie di reato, prima amministrative, nel diritto penale: tra questi la dichiarazione infedele, la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifizi, l’omessa presentazione della dichiarazione. Diventando reati penali, anche questi ultimi sono interessati dal raddoppiamento dei termini di decadenza dell’accertamento fiscale, consentendo all’amministrazione finanziaria un controllo che si sviluppi non più nei quattro anni successivi, ma negli otto, anche in assenza di qualsiasi tipo di reato.

Le nuove sanzioni

Il legislatore ha anche previsto all’interno della manovra una modalità attraverso la quale dimezzare le sanzioni. Se nella dichiarazione dei redditi e nelle dichiarazioni Iva vengono inseriti degli estremi che possano identificare i rapporti economici intrattenuti nel periodo di imposta in oggetto, imprese e professionisti che si rendano protagonisti di violazioni riferibili alle stesse dichiarazioni, possono vedersi dimezzata la condanna. Condizione necessaria è che tutte le operazioni effettuate siano tracciabili, e che quindi non sia mai utilizzato il contante.

Questo tipo di benefici può attrarre molto l’attenzione dei contribuenti, ma il fatto che non si possa in alcuna occasione utilizzare denaro contante tende a scoraggiare, non tanto perché può nascondere la volontà di evadere le tasse, quanto perché diventa difficoltoso per un imprenditore o un professionista affrontare tutte le spese con bonifici e assegni, o evitare piccoli incassi che di solito vengono effettuati in contante. Meglio sarebbe stato prevedere un forfait per le piccole spese, così da facilitare le operazioni di piccolo taglio sia in entrata che in uscita.

Altra norma che interessa i professionisti iscritti ad albi è quella che riguarda la possibilità di essere sospesi in caso di quattro violazioni non contestuali degli obblighi di emissione dei documenti certificativi di corrispettivi. In questo caso la sanzione viene applicata in maniera del tutto automatica ed è immediatamente esecutiva, senza prevedere un contraddittorio e indipendentemente da ricorsi. È opportuno sottolineare che il legislatore parla di contestazione circa l’omissione di corrispettivi, quindi di somme derivanti dall’esercizio della propria attività professionale nei confronti di un cliente, e non delle somme ricevute a titolo di rimborso spese. Inoltre non è motivo di sospensione l’omessa consegna del documento (nel momento in cui una fattura viene emessa ma non consegnata), né l’emissione di un documento impreciso (nel caso ad esempio di una sottofatturazione).

Non vale ai fini della sospensione dall’albo il caso in cui un cliente accusi il professionista di aver percepito somme non dichiarate al fisco se non dispone di prove inequivocabili del reato, al contrario in mancanza di riferimenti il cliente si espone a una condanna per falso. L’omissione del documento per quattro volte diverse con la conseguente cancellazione dall’albo professionale produce anche altri effetti. Ciò ad esempio nel caso di incarichi professionali che presuppongono l’iscrizione a un albo. In attesa di eventuali precisazioni si tende a ritenere che durante la sospensione dall’albo si possano conservare gli incarichi precedenti ma non se ne possano assumere di nuovi.