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Riforma del lavoro: i costi per le Pmi

di Barbara Weisz

Pubblicato 13 Marzo 2012
Aggiornato 24 Giugno 2013 12:08

Con la Riforma Fornero, le Pmi lamentano maggiori costi sul lavoro (+2%) soprattutto sui contratti a termine: le contro-proposte di Rete Imprese Italia, che chiede un incontro separato con il Governo.

La riforma del lavoro, così come si prospetta al momento, rappresenterebbe per le Pmi un aggravio dei costi del 2%.
A dare voce alla protesta collettiva delle piccole e medie imprese italiane è Marco Venturi, presidente di Rete Imprese Italia, che ha definito l’ipotesi prospettata dal Ministro Fornero «inaccettabile» e chiede al Governo un incontro specifico.

Costi sui contratti

Nel piano di contro-proposte delle Pmi ci sono tante misure, in primis quella sul costo del lavoro, a partire dai contratti a termine che, secondo l’attuale impianto, saranno più onerosi per le imprese: «400 euro annui a dipendente».

In realtà, questo calcolo prende in considerazione sia gli aumenti legati ai regimi contrattuali (come il tempo determinato, ma anche l’apprendistato, che viene parecchio potenziato dalla riforma), sia quelli che derivano dalla riforma degli ammortizzatori sociali.

Costi su assicurazione sociale

Sul fronte nuovi ammortizzatori sociali, la riforma Fornero prevede che l’assicurazione sociale venga pagata anche dalle Pmi (che fino ad oggi invece non concorrevano al fondo per la Cassa integrazione).

È prevista un’aliquota dell’1,3%, che può salire fino al 2,7% nel caso di contratti precari, da far confluire in una sorta di fondo INAIL per la disoccupazione.

Crisi economica

Tutto questo, spiega Venturi, rappresenta un notevole aggravio per le Pmi, già alle prese con il difficile impatto della crisi: «negli anni passati abbiamo registrato un saldo negativo di oltre 100mila imprese e stimiamo oltre 300mila posti di lavoro in meno, quindi la situazione è già pesante. Per questo avevamo chiesto che la riforma del mercato del lavoro non gravi sulle piccole e medie imprese, purtroppo, graverà e questo è un fattore di non accettabilità».

Invece che aumentare i costi del lavoro legati al tempo determinato e appesantirne altri come l’INAIL, Rete Imprese Italia chiede piuttosto «di valorizzare lo spazio che ci siamo creati con la bilateralità dove si sono fatte cose che aiutano».

Accordi sul costo del lavoro

La richiesta al Governo è quella di un incontro “separato” con il ministro, cioè non insieme alle altre parti (sindacati e Confindustria), «per affrontare e approfondire quelle specificità sulla tenuta del costo del lavoro per creare nuova occupazione e non espellerla attraverso la chiusura di imprese. Il ministro ci ha dato la sua disponibilità anche se al momento non ci ha ancora fornito una data».

Certo, i tempi dovranno eventualmente essere brevi, visto che il governo vuole chiudere la riforma entro il 23 marzo. Questi giorni serviranno per risolvere i nodi più caldi fra i quali a questo punto si inserisce una sorta di frattura fra grandi imprese (Confindustria, Abi), probabilmente più concentrate su tematiche come la flessibilità in uscita (articolo 18), e Pmi, per le quali invece la priorità è il costo del lavoro.

Costi del tempo determinato

Sul contratto a tempo determinato, che come si vede è un punto particolarmente controverso, la posizione di Rete Imprese Italia è stata chiaramente espressa nei giorni scorsi: «non può avere costi ulteriori in quanto risponde a esigenze di organizzazione del lavoro rispetto alle quali i CCNL hanno individuato soluzioni a tutela di imprese e lavoratori che costituiscono esempi di buona occupazione» e incrementarne i costi «significa penalizzarlo e ridurre opportunità di lavoro e competitività delle imprese».

L’associazione di Pmi ricorda comunque che questi contratti hanno già un costo maggiore ai fini IRAP. E ritiene che anzi ne vadano rivalutate la funzione e la genuinità, che privilegia il rapporto diretto fra impresa e dipendente rispetto ad altre forme contrattuali come la somministrazione di lavoro.

Tariffe INAIL

Sul fronte INAIL, Rete Imprese Italia chiede tra l’altro una riduzione delle tariffe «delle gestioni terziario e artigianato in forte avanzo da molti anni». I calcoli: dal 2002 al 2011 l’avanzo della gestione industriale, in deficit nell’ultimo biennio, è stato pari a 500 milioni di euro, mentre il terziario ha fatto registrare un avanzo di 9,378 miliardi di euro e l’artigianato di 10,333 miliardi (si tratta di due settori ad alto tasso di Pmi).