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Smart working: a che punto siamo

di Anna Fabi

Pubblicato 13 Aprile 2018
Aggiornato 2 Ottobre 2018 10:48

Un escursus sullo stato di applicazione dello smart working in Italia, comprese le PA, con i chiarimenti del PoliMI su cosa si intende realmente con questo nuovo modo di lavorare ed i consigli per applicarlo con successo.

Presentata nel corso dell’evento “Avaya Experience”, che si è tenuto a Roma nei giorni scorsi nello splendido scenario di Villa Miani, l’anteprima dell’Osservatorio dei Politecnico di Milano Smart Working che per la prima volta dal 2012, anno in cui è stato attivato l’Osservatorio, include anche i dati relativi alla pubblica amministrazione.

Cosa è lo smart working

Nonostante oggi esista anche una legge che regolamenta questa nuova forma di lavoro, non è ancora chiaro in tutti gli ambiti di cosa si tratti realmente.

Lo smart working viene quindi spesso confuso, sottolinea Fiorella Crespi direttore dell’OsservatorioMIP-Politecnico di Milano, semplicemente con un nuovo termine per indicare il telelavoro, oppure viene ritenuto una delle tante forme di welfare volte ad agevolare la conciliazione tra la vita privata e quella lavorativa, o ancora si guarda allo smart working in maniera restrittiva solamente come un nuovo modo per far lavorare i dipendenti da casa almeno una volta a settimana.

Si tratta sicuramente di elementi che fanno parte dello smart working ma non lo identificano completamente: il concetto di smart working è ben più complesso. Lo scopo dell’ osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano si propone quindi di offrire un punto di riferimento per lo sviluppo della cultura dell’innovazione in ottica smart working nelle imprese nella pubblica amministrazione studiando e analizzando l’evoluzione nel modo di lavorare delle persone in particolare in Italia.

L’osservatorio fornisce quindi una definizione corretta di quello che è questo nuovo modo di ripensare e riorganizzare il lavoro:

Una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati.

Questo significa mettere le persone nella condizione di poter scegliere le modalità di lavoro, in termini di luogo, di orari e di dotazione tecnologica, senza imbrigliarle in meccanismi di micro controllo tipici di una vecchia mentalità manageriale in cui è il capo ha l’esigenza di controllare visivamente che i propri dipendenti lavorino, invece di pensare in termini di risultati. Lo smart working sposta quindi il focus dal controllo visivo dei dipendenti sul controllo dei risultati, piuttosto che sulle ore di presenza in ufficio. Lavorare in modo smart significa quindi ragionare sugli obiettivi (non solo di fine anno ma quotidiani) e verificarne il raggiungimento, responsabilizzando i lavoratori stessi sui risultati che gli stessi sono chiamati ad ottenere.

I pilastri dello smart working

Crespi spiega che per fare correttamente smart working è necessario attivare iniziative coerenti con questa modalità di lavoro, I quattro pilastri dello smart working sono:

  • nuovi comportamenti e gli stili di leadership: i manager sono i primi attori fondamentali di questa evoluzione culturale. Lo smart working prevede un nuovo modo di relazionarsi tra capo e lavoratore, focalizzandosi sugli obiettivi, concedendo flessibilità ed imparando ad essere autonomi nello svolgere il proprio lavoro;
  • la definizione di un nuovo quadro di policy organizzative;
  • layout fisici, lo smart working non si applica solo fuori dall’ufficio, ma anche all’interno dell’ufficio stesso;
  • tecnologie digitali come leva abilitante dello smart working all’interno e all’esterno dell’ufficio.

L’Osservatorio identifica quindi quattro ambiti tecnologici per sviluppare strategie smart working a 360°:

  • Social collaboration, ovvero tutti gli strumenti che permettono di collaborare in maniera efficace anche quando non si è nello stesso luogo fisico;
  • Mobility , ovvero gli strumenti che abilitano il lavoro anche al di fuori della propria postazione classica;
  • accessibilità e sicurezza, ovvero la possibilità di accedere in modo sicuro ai dati aziendali anche dall’esterno del perimetro fisico dell’azienda;
  • workspace technology.

Lo smart working in Italia

Entrando nel vivo dei dati dello smart working in Italia, per quanto riguarda la diffusione tra le grandi imprese, si evidenzia come un 36% degli intervistati abbia già avviato iniziative strutturate, un 7% iniziative non strutturate, un 9% prevede di introdurre iniziative di smart working nel prossimo futuro, il 6% non ha avviato iniziative ed è incerta sul loro avvio futuro, il 7% si mostra disinteressato, il 35% forse le introdurrà in futuro.

Nell’ambito dei progetti avviati, un consistente 47% ha in realtà attivato solo la possibilità per i lavoratori di lavorare anche da remoto un 6% ha solo rivisto gli spazi in ottica di lavoro agile mentre un buon 47% ha attivato entrambe le nuove modalità di concepire il lavoro.

Con riferimento alla flessibilità in modo di lavorare il 43% delle imprese prevede la possibilità di lavorare in modalità agile 4 giorni al mese, il 3% più di 8 giorni al mese, il 22% 8 giorni al mese, l’11% non prevede limiti, il 12% ha attivato altri modelli.

Smart working nelle PA

L’edizione di quest’anno dell’Osservatorio dello Smart Working del Politecnico di Milano ha osservato per la prima volta l’adozione all’interno delle PA, evidenziando come il 48% delle amministrazioni pubbliche non preveda alcuna modalità di lavoro agile ma il 20% probabilmente lo introdurrà in futuro. Il 5% ha attivato iniziative strutturate sperimentali, con un numero limitato di persone coinvolte, il 4% iniziative non strutturate, l’8% prevede l’introduzione in futuro, il 12% non prevede alcuna introduzione dello smart working nello stato attuale né in futuro è un 3% non conosce affatto il fenomeno.

Vantaggi dello smart working

L’osservatorio dello Smart Working del Politecnico di Milano evidenzia inoltre quelli che sono le i vantaggi di questa nuova modalità di pensare il lavoro. Un’analisi che non si basa sulla pura teoria, ma sui risultati realmente ottenuti dalle realtà che hanno attivato da diverso tempoiniziative di smart working, registrando un miglioramento della produttività del 15%, un’ottimizzazione degli spazi del 30%. Vengono inoltre evidenziati i miglioramenti in termini di employer branding e quindi di attrattività dei talenti in azienda, di conciliazione della vita privata e lavorativa.

Interessante evidenziare anche vantaggi in termini di business continuity, ad esempio in caso di disagio atmosferico o di disastro ambientale o di altre problematiche che possono impedire il lavoro dalle sedi classiche.

L’intervento del direttore dell’Osservatorio del Politecnico di Milano all’Avaya Experience di Roma si conclude lanciando un interessante punto di riflessione: lo smart working si può fare, ma richiede tempo ed impegno, non ci sono scorciatoie, ma è necessario intraprendere questo che deve essere visto come un percorso (entusiasmante), non come un traguardo.