Paese che vai imprenditore che trovi, ma certe problematiche legate alla conduzione dell’azienda familiare sono condivise a livello internazionale, per esempio in tema di passaggio generazionale: in Cina, il boom economico ha visto la nascita di una nuova classe imprenditoriale che ora ha, in molti casi, l’età per lasciare il timone ai figli i quali, però, non sempre sembrano intenzionati nè preparati a prendere in mano le redini dell’impresa di famiglia.
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Le dimensioni del fenomeno sono tali per cui ci sono stati recenti prese di posizione del presidente cinese XI Jinping, e il partito comunista ha subito reagito organizzando corsi di rieducazione per giovani miliardari. «Questi giovani – ha dichiarato il presidente cinese – sanno solo esibire la ricchezza prodotta dai genitori, non sanno come crearla». I corsi, obbligatori, per imprenditori di seconda generazione, prevedono lezioni di cultura tradizonale cinese, responsabilità sociale, consapevolezza dei valori del business, pietà filiare. Multe di mille yuan ogni volta che lo studente arriva in ritardo.
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Racconta Guido Santevecchi, in un reportage sul Corriere della Sera, che c’è anche un termine per definire questi giovani ricchi di seconda generazione, figli dei proprietari dell’85% delle imprese private cinesi, che sono a conduzione familiare: fuerdai. Si calcola che nei prossimi 5-10 anni, il 75% delle imprese dei loro genitori vivrà il passaggio generazionale. Che diventa quindi un tema centrale delle politiche economiche di uno dei paesi del mondo a maggior tasso di crescita. Le associazioni imprenditoriali cinesi si stanno ponendo il problema e fra i paesi a cui guardano c’è proprio l’Italia, destinazione, in ottobre, di una delegazione del China Enterpreneur Club per un seminario con i colleghi italiani sul tema “eredità e successione del business familiare”.