Imprese e procedura fallimentare: aste giudiziarie, termometro della crisi

di Davide Di Felice

Pubblicato 8 Ottobre 2008
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:43

La crisi economica c’è e si fa sentire, anche per le imprese. Un esempio per tutti? I 396 fallimenti dichiarati ad oggi, rispetto ai 452 totali del 2007, registrati dal Tribunale di Milano. Un dato che la dice lunga: il carovita si ripercuote inevitabilmente sui fatturati e sui bilanci delle imprese.

E’ chiaro che i più colpiti sono proprio gli ex-titolari di microimprese e Pmi.
Quelle aziende che fanno più fatica a tenersi al passo con investimenti e rate di leasing strumentale. Quelle che patiscono più di tutti gli ostacoli burocratici e le difficoltà  di accesso al credito da parte delle banche che, nonostante il nuovo corso, ancora oggi continuano a dire troppo spesso “di no”. Quelle che non hanno sufficienti ammortizzatori sociali, a differenza delle grandi imprese “da salvare” con procedure dedicate.

I beni delle società  fallite vengono messi all’asta e aggiudicati al miglior offerente, e l’aumento dei beni gestiti ad esempio dal Sivag (l’istituto che gestisce le vendite giudiziarie per il Tribunale di Milano), nel 2008 è pari a quasi il 30%.

Le vendite, presso la sede di Segrate, si tengono ormai sei giorni la settimana, dal lunedì al sabato. Così indica il calendario presente sul sito dell’istituto, con tanto di catalogo fotografico dei beni messi in vendita…

Esiste perfino una newsletter informativa per tenersi aggiornati! E’ bene sapere per tempo delle disgrazie altrui. In realtà , la maggior parte dei beni all’asta non sono altro che le macerie di imprese finite male o semplicemente investite dalla bufera recessiva che sembra non finire mai.

Con i beni provenienti da pignoramenti e fallimenti che seguono ai procedimenti civili o ai sequestri penali si deve cercare di pagare i creditori, in primis quelli “privilegiati” che hanno una disciplina tutta loro.

Una volta debitore e creditore, tramite i relativi legali o commercialisti, ricorrevano più spesso alla “trattativa diretta”. C’era un “fai da te” che consentiva spesso di evitare la procedura fallimentare o di messa all’asta, e di stendere un piano di rientro dai debiti.

Ma i tempi cambiano. Oggi i professionisti e i creditori pare privilegino proprio le aste pubbliche.
Gli organizzatori dicono che assicurano trasparenza, un recupero crediti più celere e la disponibilità  dell’immobile (se il pignoramento è immobiliare) in tempi rapidi. Sarà .

Non molto tempo fa la stampa ha avviato una campagna di denuncia contro la pratica delle aste concertate tra partecipanti, soprattutto nel caso di messa in vendita di grandi complessi immobiliari. Poi sono arrivate le indagini della procura: turbativa d’asta, gang sgominata.
Tutto chiaro, tutto trasparente ora.

Un solo perdente: chi compra fa l’affare, o magari decide di riacquistare il bene che gli era stato pagato solo in parte. Così lo può rivendere un’altra volta: tutto legale, tutto cristallino.

E il debitore? Aspetta che l’agonia finisca, ripensa a ciò che era e a ciò che aveva. Oggi la riforma della legge sul fallimento gli consente di rifarsi una vita e intraprendere una nuova attività  in tempi più brevi e con modalità  semplificate.

Anche per questo, se vuole, si consoli con un vecchio aforisma caro agli antichi romani: pecunia non olet, il denaro non ha odore. Al giorno d’oggi, per nessuno: sopratutto per chi non ne ha!