Il mondo sta sperimentando «una ripresa statistica e una recessione umana». Così il consigliere economico della Casa Bianca, Lawrence Summer, ha descritto la situazione internazionale al meeting organizzato dal World Economic Forum a Davos, in Svizzera, che negli ultimi giorni di gennaio ha riunito oltre 2500 partecipanti provenienti da 90 paesi del mondo fra cui una trentina di capi di stato, decine di ministri, dodici banchieri centrali, più di 1200 top executive, una cinquantina di alti dirigenti di istituzioni internazionali, e ancora politologi, economisti, esponenti della società civile.
Dopo che l’anno scorso l’incontro era servito a fare il punto sulla crisi, l’edizione 2010 si è focalizzata su tre temi: ripensare i modelli di business, ridisegnare le regole, ricostruire la fiducia
Le conferenze, le presentazioni, i dibattitti sono serviti a discutere sei grandi tematiche: welfare, rischio sistemico, sostenibilità, sicurezza, sistema di valori, efficienza delle istituzioni. L’economia globale è stata analizzata alla luce della recente crisi per evidenziare quali sono le sfide future per chi ha responsabilità decisionali e di leadership.
In estrema sintesi si potrebbe dire che è stato presentato un mondo interconnesso, nel quale non è più possibile parlare di crescita senza tenere presente la visione d’insieme. Fondamentali le sfide di lungo termine. «Corriamo il rischio che il 2010 diventi l’anno della crisi sociale dopo quella finanziaria del 2008 e quella economica del 2009», ha sintetizzato Klaus Schwab, fondatore del World Economic Forum. Dunque, le priorità sono modi e tempi della exit strategy, imprenditorialità, innovazione, creazione di posti di lavoro, mentre sul piano ambientale bisogna pensare al riscaldamento globale.
Ci sono due grandi questioni, intorno alle quali si è molto dibattutto nelle ultime settimane, legate al piano Obama sulla gestione del rischio da parte delle banche, e alla proposta del presidente francese Nicholas Sarkozy, lanciata proprio a Davos in apertura dei lavori, relativa alla necessità di una nuova “Bretton Woods”, ovvero di una riforma del sistema monetario internazionale. Temi centrali che, a Davos, sono stati inseriti in un discorso piu’ ampio. «Se hai perso la fiducia della società, non puoi rispondere tecnicamente, devi rispondere moralmente», ha spiegato per esempio Josef Ackermann, numero uno di Deutsche Bank.
Quanto alla crisi, Michael Oreskos, direttore dell’Associated Press, ha messo in guardia: «la ripresa è ancora molto debole in molte economie industrializzate». Il presidente coreano Lee Miung Bak, che si prepara a ospitare il G20 nel novembre prossimo ha definito importante che il vertice dei grandi «raggiunga coloro che non ne fanno parte, ascolti le loro necessità e ne tenga conto nel dibattito, altrimenti non sarà efficace». «Per adattare gli interessi nazionali a quelli globali bisogna riconoscere la legittimità del punto di vista degli altri», ha dichiarato il premier canadese Stephen Harper.
E ancora Felipe Calderon, presidente messicano, che nel novembre 2010 ospiterà la conferenza internazionale sul clima dell’Onu ha detto che il fallimento dei negoziati sul clima prova che «la trattativa attraverso il meccanismo del consenso non funziona. Abbiamo problemi nuovi e non li possiamo affrontare con gli strumenti creati nel 1945». Il direttore del Fondo Monetario Internazionale, Dominique Strauss Kahn ha lanciato la proposta del “Green Fund”, un piano da 100 miliardi di dollari per una crescita a basso livello di carbone.
Il primo ministro spagnolo Josè Luis Zapatero ha sottolineato i progressi nella regolamentazione finanziaria ma ha detto ai leaders di non perdere di vista gli obiettivi del millennio: «la crisi finanziaria non può essere una scusa per ridurre gli aiuti allo sviluppo». La crisi ha rivelato «debolezze e poca lungimiranza» nella governance globale anche secondo il premier vietnamita Nguyen Tan Dung, per il quale «abbiamo bisogno di un mondo democratico».
Il numero uno del Fmi si è anche soffermato sulla exit strategy: «se usciamo troppo tardi, crescerà il debito pubblico, ma se lo facciamo troppo presto c’è il rischio di una ricaduta nella recessione». La crescita c’è, anche migliore del previsto, ma è «ancora fragile» e soprattutto «in gran parte è ancora supportata da soldi pubblici».
Un altro problema, è il passo diseguale della ripresa nel mondo, con l’Asia e alcuni mercati emergenti che la conducono e gli Usa e l’Europa che restano indietro. Infine, la disoccupazione che secondo Summers «è ciclica ma anche strutturale». Qualche dato: negli Usa oggi un uomo su cinque fra i 25 e i 54 anni è senza lavoro. Anche dopo la ripresa, secondo le stime, uno su sette o uno su otto resterà disoccupato.