Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ieri ha aperto la conferenza internazionale con quella che si potrebbe definire un’iniezione di ottimismo: «mandiamo un messaggio di speranza», ha detto davanti ai 140 capi di stati riuniti per il dibattito sugli Obiettivi del Millennio. E se da una parte ha sottolineato che ai 145,7 miliardi di dollari promessi dai paesi ricchi per combattere la povertà mancano ancora 26 miliardi, dall’altra ha voluto mettere l’accento sui passi avanti fatti negli ultimi anni, in cui «abbiamo visto più storie di successo di quanto non fosse mai avvenuto prima».
A raccogliere al volo la palla lanciata dal segretario generale ci hanno pensato, fra gli altri, il presidente francese Nicholas Sarkozy e il collega spagnolo Jose Luis Zapatero. Con una proposta che, come era prevedibile, ha subito fatto il giro del mondo.
Entrambi i capi di stato europei si sono pronunciati a favore di una tassazione delle transazioni finanziarie. «La finanza si è globalizzata. Perchè non dovremmo chiederle di partecipare alla stabilità globale prelevando una tassa su ciascuno scambio?», ha proposto Nicholas Sarkozy nel suo discorso.
In realtà l’idea non è nuova, ma l’inquilino dell’Eliseo l’ha rilanciata in grande stile, spingendo sull’acceleratore: «i finanziamenti innovativi, la tassa sulle transazioni finanziarie, possiamo deciderli qui», ha detto, auspicando che ne parli già l’assemblea generale dell’Onu di giovedì, e prenda una decisione.
Zapatero ha rincarato la dose: «il mio governo è impegnato a difendere questa nuova tassa e a renderla una realtà»,. Secondo il premier spagnolo è «sensato, giusto e logico chiedere alla finanza un minimo sforzo per far uscire milioni di persone dalla povertà».
La proposta dunque, raccoglie il favore trasversale (Sarkozy è di centro destra, Zapatero di centro sinistra) di due leader europei, ma non quello di molti altri paesi, a partire dagli Stati Uniti, per non parlare dei mercati finanziari. Si può comunque concludere che la recente crisi internazionale ha inserito nel dibattito internazionale temi che fino a pochi anni fa erano decisamente più marginali.
Ma una cosa è il dibattito, un’altra i fatti. E sul fronte più concreto, in materia di lotta alla povertà, l’effetto forse più evidente della crisi è stato quello di rallentare non poco gli sforzi dei paesi ricchi in favore di quelli più poveri (la Spagna di Zapatero, per esempio, ha tagliato gli aiuti).
E se Ban Ki-moon ha detto che all’appello mancano 26 miliardi, secondo le stime degli stessi esperti dell’Onu per vincere la battaglia contro la fame del mondo, che è il primo degli otto obiettivi, servirebbero molti più soldi, intorno ai 120 miliardi di dollari. La tre giorni al Palazzo di Vetro, che si conclude domani, serve proprio a fare il punto sull’andamento degli sforzi per raggiungere i Millennium Goals.
Come è noto, l’agenda prevede che gli obiettivi vadano raggiunti entro il 2015. Oltre alla guerra alla povertà (dimezzare il numero delle persone che vivono con meno di un dollaro al giorno), le altre sfide sono: rendere universale l’istruzione primaria, eliminare la discriminazione delle donne, ridurre la mortalità infantile, assicurare la salute alle donne in maternità, combattere l’Aids e altre malattie, promuovere la sostenibilità ambientale, sviluppare una partnership mondiale per lo sviluppo economico.