La riforma finanziaria, le tasse, la sanità, l’occupazione. Sono solo alcuni capitoli intorno ai quali gli economisti americani, ma anche i colleghi del resto del mondo, si interrogano dopo l’esito delle elezioni di mid-term.
In estrema sintesi, la domanda è: come cambia a questo punto la politica economica dell’amministrazione Obama? Il quadro è il seguente: i repubblicani hanno riconquistato la Camera dei Deputati, mentre ai democratici resta la maggioranza in Senato. Il partito del presidente non ha subito la temuta sconfitta in entrambi i rami del Parlamento, ma ha comunque incassato un risultato che lo ridimensiona parecchio. E che è, secondo molte analisi, dovuto in buona parte alle sue scelte in materia di politica economica. Non a caso, una delle prinicpali novità politiche di questa tornata elettorale è il successo dei cosiddetti Tea Party, un movimento conservatore apertamente sostenuto da diversi esponenti repubblicani, fra i quali spicca il nome di Sarah Palin, il cui programma è sintetizzabile nella formula meno stato e meno tasse.
La prima reazione a cui tutti guardano è quella di Wall Street. La borsa di New York che ieri ha chiuso in progresso nell’attesa del risultato definitivo, oggi in realtà ha aperto all’insegna della cautela, anche in attesa delle decisioni della Fed sui tassi. Il mercato, che non aveva particolarmente gradito la riforma finanziaria di Obama, negli ultimi mesi si è mosso al rialzo, l’S&P 500 da settembre ha guadagnato circa il 14% nell’attesa di una vittoria repubblicana. C’è anche da aggiungere che, tradizionalmente, un Parlamento diviso in due come quello emerso da queste elezioni, rappresenta una spinta per la borsa.
Di più, negli ultimi 70 anni, dopo le elezioni di mid-term Wall Street sale. Secondo uno studio di Brian Gendreau, dal 1922 al 2006 nei tre mesi successivi alle elezioni di metà mandato il Dow Jones ha mediamente guadagnato l’8,5%.
Questo succede anche perché con il risultato del voto la situazione politica diventa più chiara, mentre l’attesa porta con sè quell’incertezza che è notoriamente il nemico numero uno del mercato. A questo proposito però si può fare una considerazione peculiarmente legata alla situazione attuale: come detto, negli ultimi mesi la borsa è salita, mentre di solito i mesi precedenti a mid-term sono caratterizzati dai ribassi.
Allen Sinai, analista fra i più noti di Wall Street, sottolinea che «un Congresso diviso tra democratici e repubblicani è la combinazione migliore per favorire il rilancio economico del Paese e ridurne il debito». Se una vittoria repubblicana in entrambi i rami avrebbe comportato un rischio di paralisi, visto che il Governo è democratico, la situazione attuale favorisce «una naturale convergenza verso il centro e le posizioni moderate».
Comunque sia, analizzando l’agenda politico-economica dei prossimi mesi e anni, qualche considerazione si può già fare. Si profila battaglia in materia di tasse, visto che a fine anno scadono gli sgravi fiscali introdotti da Bush e mentre i repubblicani vorrebbero rinnovarli completamente i democratici pensano a tagli solo per i redditi individuali inferiori ai 200mila dollari e familiari sotto i 250mila dollari.
Si prevede acceso anche il dibattitto sul deficit: Obama presenterà le sue proposte il primo dicembre, e dovrà vedersela poi con i repubblicani favorevoli a tagliare la spesa più che ad alzare le tasse e, in alcuni casi, propensi a rivedere una serie di leggi importanti del presidente, compresa la riforma sanitaria. E ancora, in materia di finanza, i repubblicani vorrebbero cambiare la legge passata l’estate scorsa. Gli analisi ritengono che i margini per cambiarla profondamente non ci siano, ma è possibile che su alcuni punti specifici il dibattito si riapra.
In definitiva, la parola ora passa ad Obama, che non è certo il primo presidente Usa alle prese con un congresso diviso. Fra i precedenti, Ronald Reagan nel 1982, Bill Clinton nel 1994 e George W. Bush nel 2006.