Da quando il Fondo Monetario Internazionale fu fondato, dopo la seconda guerra mondiale, è la più grande riforma della governance mai operata. Prevede una redistribuzione dei diritti di voto che riconosce all’interno dell’organismo un maggior potere dei paesi emergenti. E che rende la Cina il terzo paese più importante del board, dopo gli Stati Uniti e il Giappone.
Il colosso asiatico supera così in un sol colpo Germania, Francia e Gran Bretagna. E nella top 10 delle economie più influenti, in termini di diritto di voto, entrano anche Brasile e India. «È una decisione storica, la più decisiva nei 65 anni di vita del Fondo e quella che rappresenta il maggiore spostamento di influenza in favore delle economie emergenti e di quelle in via di sviluppo, riconoscendone un ruolo crescente nell’economia mondiale», ha sottolineato il presidente del Fondo, Dominique Strauss Kahn.
Il board dell’organismo internazionale ha dato il via libera venerdì scorso, quando in Italia era ormai notte fonda, sciogliendo «un nodo che ha richiesto molto tempo ed energie negli ultimi anni» ha specificato Strauss Kahn, che è stato uno dei grandi sostenitori della riforma, una delle priorità del suo mandato, al fine di rendere l’organismo maggiormente rappresentativo della nuova realtà dell’economia globale, e che oggi si definisce «molto contento» della decisione raggiunta.
L’accordo prevede lo slittamento, dalle economie maggiormente industrialiazzate a quelle emergenti, del 6% dei diritti di voto. La nuova top ten che ne deriva è così formata da Usa, Giappone e Cina, dalle quattro maggiori economie europee (Germania, Francia, Gb e Italia) e dalle altre tre Bric. Russia e Cina erano già presenti, pur in posizioni più basse, mentre India e Brasile sono new entry al posto di Arabia Saudita e Canada. Più in generale, 110 dei 187 paesi del Fondo vendono la propria quota aumentare o restare stabile, e di questi 102 sono economie emergenti. La redistribuzione va a sfavore per una buona metà delle economie europe e di quella statunitense (quest’ultima, in misura minore), e per un altro terzo dai paesi produttori di petrolio, come l’Arabia Saudita.
Tutto questo si rifletterà sulla composizione del board, che resta formato da 24 seggi. L’Europa ne perderà due, passando da nove a sette, a favore di altrettanti paesi emergenti.
La riforma avrà effetto a partire dal 2012, e da quel momento la composizione del board verrà rivista ogni otto anni. L’ultima volta era cambiata nel 1992, quand fu deciso l’ampliamento da 20 a 24 membri, anche per adeguarsi alla nuova mappa geografico-politica del pianeta in seguito al crollo dell’Unione Sovietica.