Si è svolta, lo scorso 3 dicembre, la prima fase del processo che vede opposti gli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana da una parte, e le posizioni del Fisco dall’altra. Al centro, una presunta evasione fiscale su imponibile di circa 420 milioni di euro a testa, oltre a 200 milioni di euro di imponibile evaso, e riferibili in ultima istanza alla società di diritto lussemburghese Gado, riconducibile ai due designer di moda.
La difesa dei due noti stilisti si oppone, ovviamente, a quanto contestato. Nella prima fase del processo Massimo Di Noia, legale dei designer, ha chiesto di annullare tutti gli atti che hanno condotto Dolce e Gabbana a processo, insieme a cinque altre persone, e stralciare di fatto il procedimento a carico della coppia. Alla richiesta dell’avvocato Di Noia hanno fatto seguito le similari proposte delle altre difese, che vorrebbero pertanto evitare in tal modo il processo per i presunti reati di omessa dichiarazione dei redditi e dichiarazione infedele.
Di contro, la procura di Milano, con i pm Laura Pedio e Gaetano Ruta, oltre alla parte civile (Agenzia delle Entrate) si sono opposte alla richiesta di nullità avanzata dai difensori, richiedendo il rigetto delle eccezioni. Lo step successivo avverrà ora il prossimo 14 dicembre, quando il giudice della seconda sezione del tribunale di Milano, Antonella Brambilla, dovrà esprimersi sciogliendo, di fatto, la riserva.
Tornando alle tesi difensive, l’avvocato Di Noia ha posto attenzione su diverse questioni preliminari, tra cui una di natura prettamente procedurale: dal momento in cui la Corte di Cassazione ha rimandato gli atti al tribunale di Milano – ricordava il quotidiano La Repubblica, che ha seguito il processo – “il giudice delle udienze preliminari non poteva trasferire nuovamente gli atti alla procura di Milano. Inoltre, sempre secondo l’avvocato, visto che c’è stata una “modifica radicale dell’accusa” da parte del pm, si doveva procedere con una nuova chiusura inchiesta (415 bis) mentre dopo la decisione del gup Gennari dell’8 giugno 2012 sulla richiesta di citazione immediata, “non è stato mai notificato il 415 bis”, quando l’ultima chiusura inchiesta – ha ricordato il legale – risale al 2010, quando era contestato anche il reato di truffa, quindi “ora non c’è corrispondenza tra il 415 bis e le contestazioni del processo” iniziato oggi (il 3 dicembre, ndr)”. Per la tesi difensiva, infine, vi sarebbe “mancanza di chiarezza e precisione nel capo di imputazione”.