Il 2010 ha visto una ripresa del private equity in Italia, ma di entità modesta e non certo sufficiente per affermare che la crisi è alle spalle. Lo indica lo studio annuale del Laboratorio Private Equity & Lbo della Sda Bocconi, presentato ieri nel corso del convegno “Il ruolo dei limited partners italiani nel private equity”.
In tutto le operazioni sono state 77 (e 11 gli add -on), con un ultimo trimestre particolarmente positivo, secondo un trend che si conferma nella prima parte di questo 2011, che ha visto 40 acquisizioni, in alcuni casi di grande dimensione.
Nel dettaglio, le operazioni di leveraged buy-out sono quasi raddoppiate numericamente, +87%, ma il valore totale, intorno ai tre miliardi di euro, è sostanzialmente in linea con il dato 2009. Viceversa, le operazioni senza utilizzo di leva sono state meno numerose, -8%, ma il valore è praticamente triplicato, 1,5 miliardi nel 2010 in termini di equity value. Si registra un +30% nelle operazioni di expansion, sono stabili i replacement e gli investimenti dei fondi di turnaround.
In termini di numero di operazioni, in Europa è la Francia a registrare l’andamento migliore, con un incremento del 405% sul 2009, mentre per valore vincono il Regno Unito, +350%, e la Germania, +140%.
Secondo un’analisi che il rapporto offre sul ruolo e sul comportamento dei limited partners, gli elementi chiave per investire sono considerati la diversificazione e l’aspetto reddituale.
Il mercato del private equity italiano «si sta modificando molto» spiega Valter Conca, responsabile del Laboratorio Private equity della SDA Bocconi, con l’attenzione rivolta per esempio sul mercato delle piccole e medie imprese: «da una nostra recente ricerca sono 1.151 le Pmi target ideali del private equity. Il mercato potenziale c’è, e si spera che gli operatori sappiano coglierlo e che le imprese siano pronte a rivolgersi ad un mercato in fase di grande cambiamento».