Non concorrenza: validità del patto

Risposta di Anna Fabi

Pubblicato 31 Marzo 2017
Aggiornato 21 Settembre 2018 09:54

Steven M. chiede:

Sono stato assunto a tempo indeterminato a febbraio 2016 come impiegato commerciale per svolgere vendite internazionali (giro il mondo visitando clienti) con uno stipendio di euro 2800 netti mensili + euro 700 mensili come patto di non concorrenza (totale euro 3500). Il patto vale 2 anni dal momento di cessazione del rapporto di lavoro e include circa 12-15 Paesi tra Europa, Americhe e Far East.

E’ mia intenzione cessare il rapporto di lavoro in aprile per cui volevo sapere: vengono applicati i 2 anni anche se ho lavorato solo 14 mesi all’interno dell’azienda? Devo rispettare i 2 anni, ma l’azienda deve pagarmi le rimanenti 10 mensilità a euro 700 cad? Sono congrui i termini delle limitazioni in cosi tanti paesi (sia come numero che come importanza) oppure posso impugnare queste limitazioni? Il valore di euro 700 è congruo rispetto alla paga mensile e alle limitazioni che mi sono state imposte?

So che non esistono parametri chiari e delimitati dalle leggi in uso, per cui tutto è lasciato a quanto stabilito tra le parti. In ogni modo credo ci debbano sempre essere regole congrue con le leggi e con il buonsenso.

Come il lettore sottolinea la normativa non circoscrive il contenuto dell’accordo entro dei  limiti  precisi e lascia un po’ alle parti il compito di pattuire i vincoli del patto di non concorrenza, ma gli orientamenti della giurisprudenza posso dare un’idea di quelli che sono i limiti alla sua validità. Il patto, lo ricordiamo, rappresenta un accordo distinto dal rapporto di lavoro e autonomo rispetto all’obbligo di fedeltà sancito dall’articolo 2105 c.c., che cessa al termine del rapporto di lavoro.

=> Patto di non Concorrenza Impresa – Lavoratore: cos’è

Ad ammettere la possibilità di stipulare accordi volti a limitare l’attività dell’ex dipendente è sempre l’articolo 2125 c.c. secondo il quale un eventuale patto di questo genere risulta nullo:
«Se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, tempo e di luogo. La durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi».

=> Patto di non concorrenza: risposte a dubbi e domande

Rispondendo al lettore:

  1. i 2 anni appaiono legittimi, visto che l’articolo 2125 c.c. prevede che la durata del vincolo non possa essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi;
  2. l’azienda dovrebbe corrisponderle le mensilità mancanti, visto che la normativa prevede che il compenso possa essere corrisposto durante il rapporto di lavoro, alla sua cessazione oppure durante il periodo di validità del patto;
  3. l’accordo non può precludere al lavoratore qualsiasi opportunità professionale, rendendo di fatto impossibile l’esercizio di ogni altra attività lavorativa inerente alle proprie attitudini professionali, pena la sua nullità (sentenza Cassazione n.15253 del 3 dicembre 2001 e n.5477 del 2 maggio 2000). Questo vale anche in termini di limiti territoriali, tuttavia devono essere ritenuti validi anche i patti estesi a tutto il territorio nazionale o comunitario se non pregiudicano professionalità, diritti al lavoro e retribuzione sufficiente (Cass. n. 13282/2003);
  4. il compenso pattuito deve avere il carattere della congruità in relazione alla attività lavorativa sacrificata. L’articolo 2125 c.c. lascia alle parti la più ampia autonomia nella determinazione del quantum e del quomodo del versamento del corrispettivo dovuto al dipendente, senza limiti minimi o criteri di liquidazione. Va però considerato nullo il patto di non concorrenza in presenza di una oggettiva estrema modestia del corrispettivo e estensione del sacrificio della professionalità, con conseguenti ridotte opportunità lavorative. Il compenso pattuito, in sostanza, non può essere di carattere meramente simbolico, iniquo o sproporzionato (Cass. 14 maggio 1998 n. 4891). La giurisprudenza ha ritenuto congrui corrispettivi oscillanti tra il 15 % ed il 35% della retribuzione, secondo l’ampiezza dei vincoli di oggetto, di territorio e di durata. Dunque a nostro avviso un importo pari al 25% dello stipendio (700 euro su uno stipendio di 2800) non rappresenta un compenso di “oggettiva estrema modestia” tale da poter chiedere l’annullamento del patto.

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Risposta di Anna Fabi