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Consulenti a partita IVA nelle aziende: i cambiamenti della riforma Fornero

di Francesca Vinciarelli

Pubblicato 28 Marzo 2012
Aggiornato 10 Aprile 2012 16:43

La riforma del lavoro Fornero - Monti rivoluziona le consulenze a partita IVA nelle imprese quando il lavoro è assimilabile a quello da dipendente con contratto di assunzione: ecco cosa cambia.

La riforma del lavoro Monti – Fornero prevede lo scoraggiamento delle consulenze in azienda fornite dalle partite IVA che lavorano in maniera continuativa, rendendo illegali quelle che prevedono un impegno equiparabile al lavoro subordinato pur non essendo impiegati con contratto a tempo indeterminato.

Una platea numerosa – secondo le recenti stime circa 400mila lavoratori – che svolge mansioni assimilabili a quelle dei dipendenti ma figurano come consulenti a partita IVA, e per questo chiamati a volte “false partite IVA”.

Convenienza per lavoratore e impresa

Nonostante il lavoro sia del tutto simile a quello da dipendente, spesso lavoratori e imprese optano per la consulenza a partita IVA per convenienza economica.

All’impresa questo tipo di collaboratori costa meno di quelli con contratto a tempo indeterminato e, a volte, anche meno di un lavoratore a progetto.

Il lavoratore a partita IVA, a fronte di questi costi ridotti, può contrattare con il datore di lavoro un trattamento economico migliore dal punto di vista della retribuzione o anche della flessibilità su orari e condizioni di lavoro.

Consulenti a partita IVA in Italia

Il Codice civile definisce il lavoro autonomo quell’attività svolta senza vincoli di subordinazione nei confronti del committente, lasciando la possibilità di definire autonomamente tempi, modi e mezzi necessari per lo svolgimento delle proprie mansioni e il raggiungimento degli obiettivi concordati con l’azienda.

Un’inchiesta Isfol e Ires-Cgil rivela che il 20% delle partite IVA che lavora per un singolo committente – cosa che avverrebbe nel 55% delle consulenze a partita IVA – ha concordato con l’impresa un orario di lavoro assimilabile a quello da dipendente. Una pratica diffusa in Italia, indipendentemente dal settore e dalla zona geografica.

Riforma del lavoro e false partite IVA

La Riforma del Lavoro Monti Fornero intende dunque contrastare questa prassi in quanto, alla luce dell’impegno richiesto, la ritiene una forma di flessibilità non “virtuosa”. In pratica, l’idea del Governo è di contrastare il precariato dei consulenti a partita IVA che svolgono lo stesso lavoro dei dipendenti aziendali ma senza le tutele del contratto di assunzione, pur a fronte di retribuzione spesso più appetibili.

Scarica il Ddl di Riforma del Lavoro

Per il ministro Fornero si tratta di valorizzare la «componente professionale di uno strumento che ha perso in parte la sua natura originale» e «di combattere la tendenza a utilizzare la partita IVA non come libera manifestazione di lavoro autonomo – e quindi come uno dei volani dello sviluppo e della crescita – bensì come percorso elusivo per ridurre il costo della manodopera ed evadere gli obblighi contributivi».

Una lotta, quella alle finte consulenze a partita IVA che si affianca alle recenti disposizioni del decreto Milleproroghe sulla chiusura d’ufficio delle partite IVA inattive, che l’Agenzia delle Entrate rivela essere almeno 2 milioni su 5 milioni e mezzo intestate a persone fisiche.

Consulenza: non oltre 6 mesi e il 75% del reddito

La riforma del lavoro di Monti e Fornero prevede che la consulenza a partita IVA non possa protrarsi per oltre sei mesi nell’arco di un anno se con un singolo committente,  perché altrimenti la collaborazione si configura come lavoro dipendente.

Identico discorso nel caso in cui il lavoratore percepisca dalla consulenza a partita IVA oltre il 75% dei ricavi complessivi.

Per contrastare il fenomeno, verranno messi in campo gli ispettori del lavoro, che costringeranno aziende e lavoratori fuori legge a mettersi in regola, quindi ad interrompere la collaborazione o procedere con la stipula di un contratto da dipendente.

In caso si riscontrino irregolarità scattano le sanzioni di cui all’art.69 comma 1 del Dlgs 276/03, ossia la trasformazione del rapporto di consulenza in contratto lavoro subordinato.

Al capitolo sulle forme contrattuali, nel dettaglio, il paragrafo 2.7 – Partite IVA recita:

“Sono introdotte norme rivolte a far presumere, salvo prova contraria (ferma restando, cioè, la possibilità del committente di provare che si tratti di lavoro genuinamente autonomo), il carattere coordinato e continuativo (e non autonomo ed occasionale) della collaborazione tutte le volte che essa duri complessivamente più di sei mesi nell’arco di un anno, da essa il collaboratore ricavi più del 75% dei corrispettivi (anche se fatturati a più soggetti riconducibili alla medesima attività imprenditoriale), e comporti la fruizione di una postazione di lavoro presso la sede istituzionale o le sedi operative del committente. Tali indici presuntivi possono essere utilizzati disgiuntamente nel corso delle attività di verifica.
Qualora l’utilizzo della partita IVA venga giudicato improprio, esso viene considerato una collaborazione coordinata e continuativa (che la normativa non ammette più in mancanza di un progetto), con la conseguente applicazione della relativa sanzione di cui all’art.69 comma 1 del Dlgs 276/03.”