Nei primi sei mesi del 2022, più di un milione di lavoratori italiani hanno rassegnato le dimissioni, per quanto circa 600mila casi hanno riguardato un “recupero” sul 2020, anno in cui gli ammortizzatori sociali a pioggia e il congelamento delle nuove assunzioni ha fatto slittare tutto. I dati dell’Osservatorio INPS sul Precariato, aggiornati a fine giugno, sono in questo senso illuminanti.
In generale, possiamo dire che in questo caso si va ben oltre il fenomeno globale del quiet quitting, dilagante soprattutto nella fase di ripartenza post Covid. Si sta configurando invece un nuovo scenario, per certi versi più sano ma per altri ancor più ricco di incognite.
Quiet quitting: un diritto silenzioso
Il termine quiet quitting (tradotto letteralmente come “dimissioni silenziose”) viene utilizzato con il significato di impegnarsi al minimo, il tanto che basta per non perdere il posto, all’indomani di una pandemia che ha riscritto le priorità e mostrato tutta la fragilità di un’esistenza basata solo sul lavoro a scapito degli affetti e del benessere personale.
Oggi, però, l’effetto rebound sta già passando, lasciando spazio ad un più salutare riequilibro tra vita privata e vita professionale, dopo l’iper-lavoro sperimentato durante i mesi di lockdown e si smart working selvaggio e la successiva fase di lassismo e “sussistenza” sperimentata nei mesi successivi.
Conciliare per sopravvivere
Più semplicemente, il mondo del lavoro si sta adattando alle esigenze di conciliazione vita-lavoro e non si è più disposti a “cedere troppo” in nome di una carriera sempre meno scontata in un mondo sempre più pieno di incertezze e cambiamenti repentini, non da ultimo una guerra sanguinosa che ci ha fatto ripiombare nello sconforto proprio quando sembrava di vedere finalmente la luce fuori dal tunnel del Covid.
Insomma, non si sa che pesci pigliare. Ma si sa benissimo come si vorrebbe lavorare. E cosa non siamo più disposti a fare.
Ricollocarsi per reinventarsi
In Italia (come nel resto del mondo) il fenomeno delle dimissioni di massa che stiamo stiamo sperimentando non risponde tanto ad un quiet quitting di chi non ha più voglia di sacrificarsi invano ma piuttosto ad un’esigenza di ricollocamento. Dimissioni sì ma per ricollocarsi altrove, per intenderci. Mercato del lavoro permettendo: dopo il rimbalzo economico dell’immediato post-Covid, stiamo sperimentando una nuova grave crisi, con il rischio di una recessione dietro l’angolo, come testimoniano le stime sul PIL per il 2023.