Guida al TFR: calcolo, accantonamento e anticipo

di Anna Fabi

Pubblicato 1 Febbraio 2023
Aggiornato 10 Settembre 2023 08:40

Disciplina del trattamento di fine rapporto: quando conviene lasciarlo in azienda e come calcolare il TFR, gestire gli accantonamenti e chiedere anticipi.

Prima di scegliere se lasciare o meno l’accantonamento del TFR (trattamento di fine rapporto di lavoro) in azienda, è utile valutarne i rendimenti e metterli a confronto con quelli dei fondi pensione, che di fatto continuano a mostrarsi più profittevoli.

Allo stesso tempo, esistono vantaggi pratici per chi sceglie questa opzione. Vediamo perché e come funziona la procedura, per lavoratori e aziende, e come si calcola il TFR.

Cosa è il TFR?

Il Trattamento economico di fine rapporto di lavoro, disciplinato dall’articolo 2120 del codice civile, è una somma spettante al lavoratore in qualunque caso di cessazione di rapporto subordinato, che matura annualmente e che è accantonato mensilmente, fino al momento della sua riscossione.

Come si calcola il TFR?

Il calcolo del TFR si effettua sommando tutte le quote di accantonamento – pari alla retribuzione annua lorda (RAL) divisa per 13.5 – e poi sottraendo lo 0,5% della RAL stessa, ossia la trattenuta per il Fondo Adeguamento Pensioni. Per il calcolo del TFR netto bisogna escludere dal TFR lordo la tassazione applicata, prima in via provvisoria dall’azienda e poi in via definitiva dall’Agenzia delle Entrate.

Quali voci retributive si valutano per il TFR?

La retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR – salvo diversa previsione dei contratti collettivi – è costituita da tutti gli elementi retributivi aventi natura tipica, normale e ripetitiva nel rapporto di lavoro: minimo contrattuale, aumenti periodici di anzianità, superminimi, indennità di maneggio denaro, maggiorazione turni, straordinario fisso ripetitivo, premi presenza, valori convenzionali mensa, indennità per disagiata sede, importi forfettari, cottimo, provvigioni, premi e partecipazioni, prestazioni retributive in natura, altre somme riconosciute e corrisposte a titolo non occasionale esclusi i rimborsi spese, escludendo le somme erogate a titolo occasionale.

Quanto è il TFR maturato in un anno?

Ogni anno si accumula poco più di una mensilità di TFR. Se ad esempio un dipendente percepisce uno stipendio di 1.500 euro netti, il TFR accantonato per un anno è pari a circa 1.600 euro.

Accantonamento TFR: come funziona?

I dipendenti privati hanno sei mesi di tempo dal momento dell’assunzione per scegliere la destinazione del TFR. Il datore di lavoro deve fornire informazioni sulle possibili opzioni prima dei sei mesi dopo i quali il lavoratore deve decidere cosa fare. Inoltre, trenta giorni prima di tale scadenza, dovrà consegnare al lavoratore che non ha ancora manifestato alcuna volontà le necessarie informazioni relative alla forma pensionistica complementare verso la quale è destinato il TFR maturando.

  • Se il lavoratore non esprime alcuna scelta, alla scadenza del semestre scatta il cosiddetto silenzio-assenso e datore di lavoro provvederà a trasferire il TFR maturando alla forma pensionistica collettiva prevista dagli accordi o dai contratti collettivi, salvo accordo aziendale che prevede la destinazione del TFR ad una forma collettiva tra quelle previste dalla legge 243 del 23 agosto 2004, articolo 1, comma 2. In ogni caso l’accordo va notificato al lavoratore.
  • Se il lavoratore esprime una scelta, può decidere di lasciare il TFR in azienda o considerarla come una modalità di finanziamento di una forma di previdenza complementare, scegliendo il fondo.

Dove confluisce il TFR maturato?

Il lavoratore può scegliere di mantenere il TFR presso il datore di lavoro, scelta che può essere revocata in qualsiasi momento. Se in azienda sono presenti più forme pensionistiche, il TFR è trasferito a quella cui ha aderito il maggior numero di lavoratori dell’azienda. Qualora non sia applicabile nessuna di queste ipotesi, il datore di lavoro deve trasferire il TFR maturando alla forma pensionistica complementare residuale istituita presso lINPS (“Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di lavoro di cui all’art. 2120 del codice civile”).

TFR lasciato in azienda: come si calcola?

L’accantonamento del TFR maturato è ottenuto sommando per ciascun anno di servizio una quota non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso, diviso per 13,5. Ogni anno, la somma accantonata subirà una rivalutazione dell’1,5% su un valore pari al 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo accertato dall’ISTAT, rispetto al mese di dicembre del precedente anno.

Posso chiedere un anticipo sul TFR all’azienda?

Sì. Durante il periodo lavorativo il lavoratore, purché abbia compiuto almeno 8 anni di anzianità può richiedere al proprio datore di lavoro un anticipo non superiore al 70% del TFR maturato. L’anticipazione può essere richiesta una sola volta nel corso del rapporto di lavoro e solo nel caso in cui sussistano le seguenti necessità: comprare casa per se stessi o per i figli; sostenimento di spese sanitarie per terapie o interventi straordinari.

Le richieste possono essere soddisfatte entro il limite annuo del 10% degli aventi diritto e comunque entro il 4% del totale dei lavoratori. Contabilmente, tale operazione – essendo di tipo finanziario – accenderà un credito nei confronti del dipendente ascrivibile nell’Attivo dello Stato Patrimoniale fra le voci dell’Attivo circolante.

Ci sono penalità sull’anticipo del TFR aziendale?

Al momento della corresponsione dell’anticipo, il datore di lavoro dovrà applicare una trattenuta da versare entro giorno 16 del mese successivo tramite modello F24. La legge 662 del 1992 e successive modifiche ha introdotto l’obbligo a carico dei datori di lavoro di versare un acconto una tantum delle imposte da trattenere ai lavoratori dipendenti all’atto della corresponsione del trattamento di fine rapporto.

Al momento del versamento si è accreditato un conto dell’attivo dello Stato Patrimoniale allocato fra i “Crediti verso altri” ascrivibile fra le Immobilizzazioni finanziarie. Tale credito verrà utilizzato dallo stesso datore di lavoro per il versamento delle ritenute dovute sul TFR.

Gestione contabile del TFR: come funziona?

Le aziende con almeno 5 dipendenti devono inserire nelle scritture contabili, indicandolo in bilancio tra i debiti a breve termine, la quota del TFR accantonata. La stessa quota verrà versata mensilmente ai fondi di previdenza o al fondo di tesoreria istituito presso l’INPS.

È necessario, quindi, contabilizzare mensilmente l’accantonamento TFR al fine di addivenire all’importo da versare ai fondi di previdenza. Pertanto, in “Dare” andrà contabilizzata una voce di conto economico chiamata “Trattamento di fine rapporto” mentre in “Avere” sarà inserito il conto “Debiti verso Istituti Previdenziali”. Il debito verrà estinto al momento del versamento mensile.

Al momento della cessazione del rapporto il datore di lavoro anticiperà le somme al dipendente generando un credito nei confronti dell’INPS. Tale credito servirà a compensare i successivi versamenti della contribuzione degli altri dipendenti. C’è da precisare che il funzionamento del TFR prevede che il debitore nei confronti del lavoratore non è il datore di lavoro ma il Fondo.

Come viene tassato il TFR a fine lavoro?

Alla liquidazione del TFR si applica la tassazione separata, considerando l’aliquota media relativa a tutti gli anni di servizio. La quota finanziaria è tassata al 17%, se è investito nei fondi di previdenza complementare è tassato fino al 15% (con franchigia deducibile).

Sull’anticipo del TFR la tassazione è invece al 23% per acquisto prima casa; per le spese mediche al 15% meno lo 0,30% per ogni anno di servizio dopo il 15° entro un massimo del 6%; per motivi personali al 15% meno lo 0,30% per ogni anno di servizio dopo il 15° entro un massimo del 9%.