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Dichiarazione dei redditi precompilata: come funziona nel mondo

di Barbara Weisz

19 Maggio 2014 11:30

La dichiarazione dei redditi precompilata è una realtà in diversi paesi, soprattutto del Nord Europa, dove spesso riguarda la totalità o quasi dei contribuenti, mentre ci sono altri stati in cui copre quote inferiori e fatica a decollare, come la Francia: mentre in Italia il governo promette di introdurla dal 2015, vediamo una breve panoramica internazionale che mette in luce, da una parte i benefici che lo strumento comporta quando si riesce a renderlo efficiente, e dall’altra le difficoltà anche organizzative e strutturali legate al passaggio alla dichiarazione precompilata.
Il paese all’avanguardia è la Danimarca, dove questa modalità di dichiarazione è stata introdotta 25 anni fa, nel 1988, e oggi riguarda il 100% dei contribuenti. Significa che ogni anno 4,5 milioni di danesi ricevano a casa la dichiarazione completa di reddito, interessi, dividendi, capital gains, deduzioni e detrazioni: le informazioni con cui il Fisco riesce a compilarle sono relativamente complete, in considerazione del fatto che solo il 6% chiede ulteriori modifiche. Alla fine, l’agenzia delle Entrate danese risparmia mediamente 100-150 milioni di euro l’anno.

Dichiarazione a casa alla totalità dei contribuenti anche in Svezia, Estonia, Islanda, e fuori dall’Europa, in Cile. Ma, in tutti i questi casi, è più alto che in Danimarca il numero di coloro che poi rispedisce integrazioni o modifiche: il 50% in Svezia, il 35% in Estonia, il 43% in Cile.

C’è poi un nutrito gruppo di paesi in cui la diciarazione precompilata, pur non raggiungendo la totalità dei contribuenti, registra comunque alti tassi di diffusione: in Europa, Finlandia (95%), Norvegia, (93%), Spagna (43%), mentre fuori dai confini continentali si possono citare il 51% di Singapore e il 42% della Nuova Zelanda. Si scende nettamente sotto il 40% in Sudafrica e Turchia, entrambi paesi al 34%, e in Lituania, dove comunque c’è c’è una fiddusione intorno al 30%. Infine, il caso della Francia, partita nel 2005 ma che ha poi in qualche modo visto il meccanimso incepparsi, fermandosi al 13%.

E passiamo ai pro e ai contro della dichiarazioni precompilata. Fra i benefici maggiori, ne spiccano due: il risparmio per l’amministrazione finanziaria e la semplificazione per il contribuente. Ne consegue un terzo punto a favore, un miglior clima di compliance fiscale, di rapporto fisco-contribuente. Le pratiche internazionali consentono stime sui risparmi possibili: si passa dai 100-150 milioni della Danimarca a risparmi per 1 miliardo di euro nei paesi dove i contribuenti sono più di 10 milioni. Dal punto di vista numerico, sarebbe ad esempio il caso dell’Italia.

Sul fronte delle difficoltà, il punto centrale è l’efficienza del sistema. Non a caso, il paese in cui funziona meglio è quello in cui viene attuato da più tempo, con la conseguenza che l’amministrazione finanziaria è in possesso di dati più certi e di un sistema organizzativo rodato. Ma trovare il giusto equilibrio non è facile: il 6% di moddifiche apportate dal contribuente della Danimarca è un caso abbastanza isolato. Le percentusali degli altri paesi sono ben più alte, si va dal 22% della Spagna al 50% di Norvegia e Svezia. Quanto ai tempi, in genere ci vuole un rodaggio da tre a cinque anni.