Enti locali declassati, coro di critiche al governo

di Barbara Weisz

27 Settembre 2011 09:30

S&P taglia il rating a 11 enti locali italiani fra comuni, province e regioni, sulla scia del declassamento del debito del paese. Gli amministratori protestano: la responsabilità è dell'esecutivo. E ora saliranno le tasse.

Dopo i conti del paese e le banche, è arrivato il turno degli enti locali. S&P ha tagliato il rating, da A+ ad A, con outlook negativo, a tre comuni, Milano, Genova e Bologna, due province, Roma e Mantova, e sei regioni, Sicilia, Emilia Romagna, Friuli venezia Giulia, Liguria, Umbria e Marche. L’agenzia di rating ha anche rivisto l’outlook (quindi, le prospettive) della città di Torino, portandolo da stabile a negativo, ma in questo caso ha confermato il giudizio, A, sul debito a lungo termine.

Trattasi, come ha sottolineato la stessa Standard & Poor’s, di una diretta conseguenza dell’abbassamento del rating sul debito sovrano.

«Coerentemente con la nostra metodologia, applicabile agli enti locali e al loro relativo emittente sovrano, abbiamo limitato il rating di queste 11 amministrazioni allo stesso livello dell’Italia» spiega il report dell’agenzia, specificando che gli enti locali in questione non hanno le caratteristiche necessarie per ottenere un voto superiore a quello sovrano, ma riconoscendo anche che fra i gli 11 enti locali ci sono «fondamentali creditizi differenti, sebbene a tutti sia assegnato un rating A».

Prevedibile la reazione delle pubbliche amministrazioni colpite dal declassamento. «L’accanimento del governo sugli enti locali non può che produrre questi risultati» sottolinea Graziano Delrio, vicepresidente dell’Anci, l’associazione dei comuni italiani da tmpo sul piede di guerra contro le manovre estive. «Non è una cosa positiva» e segue «il giudizio negativo di inaffidabilità dato nei confronti del paese e del governo» sottolinea l’assessore al Bilancio milanese, Bruno Tabacci.
Per il sindaco di Torino, Piero Fassino, «è urgente aprire un tavolo sia per la revisione del patto di stabilità sia per l’adozione di misure correttive al decreto governativo».

«Il taglio è automatico quando si declassa l’Italia, anche se i nostri conti sono a posto» reagisce il presidente della Liguria, Claudio Burlando. L’assessore alle Finanze del Friuli Venezia Giulia, Sandra Savino, ritiene che «il rating intrinseco« della regione sia di AA ma «a causa del declassamento del rating dell’Italia, il valore ufficiale è stato rivisto da A+ ad A». Simile commento dalle Marche, da parte del presidente della regione, Gian Mario Spacca: «I nostri esperti finanziari hanno dimostrato che, se le Marche fossero state uno Stato indipendente, il nostro rating sarebbe stato superiore, pari ad AA-».

L’assesore umbro al bilancio, Gianluca Rossi, sottolinea che la regione, insieme agli altri enti locali «è costretta a pagare per l’inaffidabilità dei conti pubblici dello Stato». Il collega siciliano all’Economia, Gaetano Armao, ritiene che «le responsabilità» siano del governo «che ha sottovalutato il problema fin dal suo insediamento». Il titolare delle Politiche Finanziarie della Provincia di Roma, Antonio Rosati, chiede di allentare i vincoli della patto di stabilità.

Insomma, un vero e proprio coro di critiche, che pur nelle diverse sfumatore vanno tutte nella direzione di puntare il dito contro il governo. E il presidente dell’Anci, Osvaldo Napoli, avverte: la conseguenza sarà un aumento delle tasse per i cittadini, che però, spiega, non è «imputabile in alcun modo agli amministratori locali bensi’ a scelte prese a livello nazionale».