Sanità, troppi dati dei pazienti su Facebook

di Lorenzo Gennari

24 Settembre 2010 17:00

Il presidente dell'Autorità garante della privacy lancia l'allarme: troppi medici e pazienti condividono, in buona fede, dati su terapie, strutture e condizioni sanitarie che possono essere sfruttati per scopi commerciali o utilizzi non desiderati

Francesco Pizzetti, presidente dell’Autorità garante della privacy, nel corso di un convegno sulla protezione dei dati in ambito sanitario, ha messo in guardia quanti utilizzano Internet per confrontarsi con medici e pazienti circa le proprie patologie.

«Si tratta di una tendenza sempre più diffusa – ha spiegato il Garante – sia tra i malati che tra gli operatori sanitari. Da un lato i pazienti, soprattutto quelli colpiti da malattie rare, utilizzano internet e vari siti di social network per scambiarsi informazioni su medici, terapie e strutture con altre persone nelle loro condizioni. Dall’altro ci sono professionisti e operatori del settore che usano Facebook o YouTube per condividere impressioni o foto sulla propria attività di lavoro».

In questo modo, anche se involontariamente, i primi rivelano di essere malati, il loro nome e tutti gli altri dati messi a disposizione della comunità, i secondi fungono da veicolo per la diffusione di informazioni riservate sulla salute degli stessi malati, ma anche sui metodi utilizzati dagli ospedali o dai medici.

Tali dati potrebbero diventare interessanti per chi deve proporre medicinali o cure specifiche ai soggetti coinvolti. Oppure potrebbero dare indicazioni sui rischi di malattia o morte di un individuo. Per non parlare di un ipotetico furto di identità che si potrebbe avvantaggiare della ricchezza di dettagli scoperti in rete.

«È importante creare una cultura e consapevolezza sulla riservatezza di questi dati – ha concluso Pizzetti – Malati e operatori sappiano che Internet non garantisce che i dati siano conosciuti solo dalle persone per cui li scrivono, che è difficile essere sicuri della loro cancellazione e che questi dati, messi senza precauzioni online, possono essere poi catturati dai motori di ricerca e quindi essere diffusi ad una platea di persone molto più vasta».