Stress lavoro correlato, gli obblighi dell’azienda

di Filippo Davide Martucci

Pubblicato 21 Dicembre 2011
Aggiornato 9 Gennaio 2014 14:33

Un approfondimento sullo stress lavoro correlato: che cos'è, come si manifesta, quali sono gli obblighi e le procedure che il datore di lavoro deve seguire: la valutazione e il DVR.

I rischi tradizionali per la sicurezza e il benessere del lavoratore, ma anche quelli immateriali, tra cui i pericoli legati allo stress lavoro-correlato: tutte eventualità negative per la salute dei dipendenti che devono essere comprese nella valutazione dei rischi che, come stabilisce il Testo unico su Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro, è un obbligo per il datore di lavoro.

Il datore di lavoro deve effettuare la valutazione del rischio stress lavoro correlato avvalendosi della collaborazione del Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (Rspp), di un medico competente e, se nominato, deve necessariamente tener conto della consultazione con il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Rls/Rlst).

Valutazione rischio stress lavoro

La valutazione del rischio da stress lavoro correlato si basa sulle indicazioni metodologiche stabilite dalla Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro, organo presieduto dal ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e costituito dalle amministrazioni centrali competenti in materia, dalle Regioni e dalle parti sociali. Questa Commissione ha approvato le indicazioni minime da seguire.

Lo stress lavoro-correlato è definito dall’art. 3 comma 1 dell’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004 come una «condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o aspettative riposte in loro». In altre parole questa tipologia di stress è uno stato di malessere derivante dal non sentirsi capaci di rispettare le richieste e le attese nei propri confronti, e avviene quindi quando un lavoratore percepisce uno squilibrio incolmabile tra le richieste formulategli e le sue effettive risorse utili a soddisfarle.

Ciò può riguardare qualsiasi ambiente di lavoro e qualsiasi lavoratore indipendentemente dalla posizione gerarchica, e influisce non solo sulla salute delle persone ma, a cascata, anche su quella dell’azienda.

In ogni caso non può essere considerata fattore di stress lavoro-correlato una richiesta esercitata dall’azienda o dal datore di lavoro, alla quale si possa far fronte utilizzando il normale orario di lavoro o entro congrue scadenze.

I sintomi dello stress possono manifestarsi a livello aziendale quando sono condivisi da un gruppo di dipendenti (ad esempio attraverso assenteismo, frequente avvicendamento del personale, scarso controllo dei tempi di lavorazione, problemi disciplinari, molestie, riduzione della produttività, infortuni, errori e aumento dei costi d’indennizzo o delle spese mediche) o a livello individuale se invece riguardano un solo dipendente (attraverso reazioni emotive quali irritabilità, ansia, disturbi del sonno, depressione, ipocondria, alienazione, spossatezza, problemi relazionali con la famiglia; reazioni cognitive come difficoltà di concentrazione, perdita della memoria, scarsa propensione all’apprendimento di cose nuove, ridotta capacità decisionale; reazioni comportamentali distruttive come abuso di sostanze stupefacenti, alcol o tabacco; o ancora reazioni fisiologiche come problemi alla schiena, indebolimento del sistema immunitario, ulcere peptiche, disturbi cardiaci, ipertensione).

Le diposizioni sulla valutazione e gestione dello stress lavoro-correlato si applicano a tutti i datori di lavoro, di imprese pubbliche e private, ovvero ai soggetti titolari del rapporto di lavoro con il dipendente, o ai soggetti sui quali ricade la responsabilità dell’organizzazione e che esercitano i poteri decisionali e di spesa, per un tempo pari alla durata del contratto.

I soggetti esclusi sono quelli che non impiegano lavoratori subordinati ed equiparabili, gli studi associati, i professionisti che svolgono tirocini obbligatori, le imprese familiari (in cui la figura del collaboratore familiare svolge un rapporto di tipo associativo basato sui vincoli di sangue), le attività di volontariato (sia per quanto riguarda i volontari di organizzazioni di solidarietà sociale che per i volontari del servizio civile), i lavoratori domestici (quali colf e badanti).

La valutazione, così come previsto dalla predetta Commissione, prevede una fase preliminare in cui avviene una corretta valutazione dei fattori di rischio. Il datore di lavoro, prendendo in esame gruppi omogenei di lavoratori che risultino esposti a rischi del medesimo tipo, deve ricercare indicatori oggettivi, verificabili, e se possibile numericamente apprezzabili in ordine a tre diverse categorie: eventi sentinella (indici infortunistici, assenze per malattia, turnover, procedimenti e sanzioni, segnalazioni del medico competente, specifiche e frequenti lamentele formalizzate da parte dei lavoratori), fattori relativi al contenuto del rapporto di lavoro (ambiente di lavoro e attrezzature, carichi e ritmi di lavoro, orario di lavoro e turni, corrispondenza tra le competenze dei lavoratori e i requisiti professionali richiesti), fattori relativi al contesto lavorativo (ruolo nell’ambito dell’organizzazione, autonomia decisionale e controllo, conflitti interpersonali sul lavoro, evoluzione e sviluppo di carriera, comunicazione).

DVR: Documento di Valutazione del Rischio

Se nella fase preliminare non si ravvedono elementi di rischio di stress lavoro-correlato non resterà al datore di lavoro che segnalare i risultati nel Documento di Valutazione del Rischio ( DVR) prevedendo comunque un piano di monitoraggio. Se invece si ravvisano elementi di rischio si pianificano e adottano interventi correttivi (organizzativi, tecnici, procedurali, comunicativi, formativi) e qualora questi non risultino sufficienti si passa alla valutazione approfondita.

Questa seconda fase prevede la valutazione della percezione soggettiva dei lavoratori divisi in gruppi omogenei, attraverso mezzi come interviste semi-strutturate, questionari, focus group.

Conclusa la valutazione, il datore di lavoro non deve ripetere l’indagine, ma solo aggiornarla periodicamente; è però necessario rifarla in presenza di modifiche al processo produttivo o alla organizzazione del lavoro che possano coinvolgere la salute e la sicurezza dei lavoratori, in presenza di innovazioni tecniche, della prevenzione o della protezione, o ancora in seguito a infortuni significativi sul lavoro e nel caso in cui si manifesti qualche tipo di necessità.