
Gli unici dati positivi riguardano la crescita degli iscritti e dei contributi incassati dai fondi pensione. Per il resto, nella relazione annuale Covip, la Commissione di vigilanza evidenzia rendimenti inferiori al TFR, risorse in calo per le turbolenze sui mercati finanziari e il perdurare di criticità strutturali legate al gap generazionale, territoriale e di genere.
Per la presidente facente funzioni, Francesca Balzani, però, a fronte di «tendenze strutturali, non favorevoli alle prospettive di sviluppo della previdenza complementare, vi sono interventi che il decisore politico può prendere in considerazione». Fra gli altri, sostegno all’adesione dei giovani, anche con forme di incentivazione fiscale selettive (non un rialzo orizzontale della soglia di detrazione) e nuove politiche di investimento delle risorse dei fondi che sfrutti il lungo orizzonte temporale dell’investimento previdenziale.
Vediamo dati e analisi relativi alla Relazione annuale Covip.
Rendimenti e confronto con il TFR
Sempre le turbolenze finanziarie sono alla base del calo dei rendimenti: perdita del 9,8 per cento dei fondi negoziali, del 10,7% dei fondi aperti e dell’11,5% dei PIP nuovi. Il TFR si è invece rivalutato dell’8,3%. Il confronto con il trattamento di fine rapporto vede la previdenza complementare in svantaggio anche su periodi più lunghi: a 3, 5, 10 e 20 anni. Fra l’altro, se il TFR pur salendo negli ultimi anni non ha recuperato l’inflazione, sul medio periodo invece assicura rendimenti che proteggono il capitale dall’andamento dell’indice dei prezzi al consumo.
Iscritti e contributi
Il totale degli iscritti è di 9,2 milioni, in crescita del 5,4% rispetto all’anno precedente, per un tasso di copertura del 36,2% sul totale delle forze di lavoro. I fondi negoziali contano 3,7 milioni di iscritti, quasi 1,8 milioni sono gli iscritti ai fondi aperti e 3,5 milioni ai PIP “nuovi”. Restano 650mila iscritti ai fondi preesistenti.
L’analisi di questi dati evidenzia che restano però tutte le criticità già rilevate negli anni scorsi. Gli uomini sono il 61,8% degli iscritti alla previdenza complementare (il 73% nei fondi negoziali). La distribuzione per età vede la prevalenza delle classi intermedie e più prossime all’età di pensionamento: il 48,9% degli iscritti ha età compresa tra 35 e 54 anni, il 32,3% ha almeno 55 anni e solo il 18,8% è sotto i 35 anni. Quanto all’area geografica, la maggior parte degli iscritti risiede nelle regioni del Nord (57,1%).
In crescita come detto anche i contributi incassati nell’anno, pari a circa 18,2 miliardi di euro. 6,1 miliardi ai fondi negoziali (+4,6%), 2,8 miliardi ai fondi aperti (+7,8%), 5 miliardi ai PIP (+2,4%) e 4,1 miliardi ai fondi preesistenti (+1,5%).
Risorse dei fondi pensione
A causa dell’andamento negativo dei mercati, però, le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari si attestano a 205,6 miliardi di euro, in calo del 3,6%. Altra criticità su questo fronte, gli iscritti non versanti (o per i quali comunque non sono stati effettuati versamenti), è pari a circa 2,5 milioni: questo andamento è più frequente nelle forme di mercato e tra i lavoratori autonomi, anche se una parte cospicua è costituita da lavoratori dipendenti iscritti a fondi pensione negoziali con modalità contrattuale, con particolare riguardo ad ambiti, come il settore edile, il cui bacino è caratterizzato da elevata discontinuità occupazionale.
Prestazioni erogate
Le voci di uscita per la gestione previdenziale ammontano a 11,2 miliardi di euro. Le prestazioni pensionistiche sono state erogate in capitale per 4,6 miliardi di euro e in rendita per 440 milioni di euro. I riscatti sono pari a 2 miliardi di euro e le anticipazioni a 2,3 miliardi di euro. Nell’anno sono stati erogati circa 1,6 miliardi di euro di rendite integrative temporanee anticipate (RITA), per lo più concentrati nei fondi pensione preesistenti.
Gli investimenti dei fondi pensione
L’allocazione degli investimenti resta in gran parte concentrata sui titoli di stato (54,6%): il 5,4% sono titoli del debito pubblico italiano. In calo al 20% anche i titoli di capitale (rispetto al 22,6% del 2021), le quote di OICR, passate dal 16 al 15,3%. I depositi si attestano al 6,5%. Marginali gli investimenti immobiliari, rappresentano circa l’1,9% del patrimonio.
Nell’insieme, il valore degli investimenti dei fondi pensione nell’economia italiana (titoli emessi da soggetti residenti in Italia e immobili) è di 35,5 miliardi di euro, pari al 20,9% del patrimonio, in calo sia in valore assoluto sia in termini percentuali rispetto al 2021 (rispettivamente, 40 miliardi e 22,7%). E i titoli di Stato ne rappresentano la quota maggiore, a 26,1 miliardi di euro.
Gli impieghi in titoli di imprese domestiche rimangono contenuti (4,1 miliardi, meno del 3% delle attività), riflettendo anche le limitate dimensioni del mercato azionario nazionale.
Proposte di riforma della Covip
E siamo alle considerazione della presidente Balzani.
In primis viene sottolineata la tenuta del sistema in un periodo caratterizzato da eventi eccezionali. «Pur considerando le perdite del 2022, i rendimenti, valutati in un orizzonte temporale di medio-lungo periodo e facendo riferimento alle medie generali relative a tutti i comparti, rimangono in media positivi, e sostanzialmente in linea con i tassi di rivalutazione del TFR».
La forbice dei rendimenti di fondi e TFR si riduce con l’allungarsi del periodo, ma anche sui 20 anni resta un leggero vantaggio della liquidazione. Questo, in media, ci sono comporti dove invece vincono i fondi pensione: obbligazionari bilanciati, azionari, nel caso dei fondi negoziali anche gli obbligazionari misti.
«Le potenzialità dei fondi pensione nell’offrire nel lungo periodo rendimenti soddisfacenti emergono in modo chiaro per le linee più orientate all’investimento in azioni. Facendo riferimento a un intervallo temporale decennale (da fine 2012 a fine 2022), i rendimenti medi annui composti di tali linee si collocano, al netto dei costi e della fiscalità e per tutte le tipologie di forme pensionistiche, tra il 4,7 e il 4,9 per cento».
Però, questi dati positivi di resistenza e solidità sul lungo periodo, non possono «distogliere l’attenzione dai fattori strutturali che, nel nostro Paese, renderebbero quanto mai necessario un suo consistente ulteriore sviluppo ma che, al contempo, lo rendono oltremodo difficile».
La previdenza complementare «accoglie prevalentemente uomini, di età matura, residenti nel Nord del Paese, inseriti in imprese ragionevolmente solide e in grado di dare continuità ai flussi di finanziamento. Donne, giovani, lavoratori del Sud del Paese continuano invece a essere meno presenti. Ciò significa che proprio le figure meno forti, per le quali sarebbe più pressante la necessità di un futuro previdenziale più solido fanno più fatica a entrare nel mondo della previdenza complementare».
C’è un importante fattore legato al forte ruolo del primo pilastro, che rende difficile lo sviluppo della previdenza integrativa a maggior ragione in presenza dei fattori di equilibrio sopra esposti. Come intervenire? Francesca Balzani non ritiene efficace un’eventuale innalzamento del tetto di deducibilità, attualmente pari a 5mila 164,57 euro l’anno. Il contributo medio è oggi pari a 2mila 770 euro, e «solo i lavoratori delle fasce di reddito più elevate sono in grado di dedurre i contributi fino al limite massimo».
Il punto è il seguente: «chi più avrebbe bisogno di un’integrazione del reddito pensionistico è paradossalmente meno in grado di partecipare alla previdenza complementare».
La proposta: «gli attuali incentivi andrebbero rimodulati in funzione del reddito degli iscritti eventualmente prevedendo un intervento diretto dello Stato a sostegno delle posizioni pensionistiche di determinate categorie, e in particolare dei più giovani». E i meccanismi di incentivazione potrebbero diventare più selettivi.
Ad esempio, limiti ai contributi deducibili, non più su base annuale bensì pluriennale, misura che eviterebbe «di penalizzare coloro che non sono in grado di destinare ogni anno alla previdenza complementare un flusso stabile di contributi e per altro verso incentivando l’adesione e la contribuzione di lavoratrici e lavoratori i cui redditi sono più volatili, come in molti casi del variegato panorama del lavoro autonomo».
Infine, scelte più efficaci sul fronte degli investimenti, per esempio «tramite un’esposizione iniziale più elevata nei titoli azionari, caratterizzati da maggiore volatilità ma pure da rendimenti attesi più elevati, e una progressiva riduzione di tale esposizione via via che si avvicina il pensionamento».