Fondi pensione in crisi: proposte Covip di riforma

di Barbara Weisz

Pubblicato 8 Giugno 2023
Aggiornato 13 Ottobre 2023 14:11

Rendimenti e risorse in calo, disuguaglianze generazionali, di genere e territoriali: per la Covip servono incentivi più selettivi e diversi investimenti.

Gli unici dati positivi riguardano la crescita degli iscritti e dei contributi incassati dai fondi pensione. Per il resto, nella relazione annuale Covip, la Commissione di vigilanza evidenzia rendimenti inferiori al TFR, risorse in calo per le turbolenze sui mercati finanziari e il perdurare di criticità strutturali legate al gap generazionale, territoriale e di genere.

Per la presidente facente funzioni, Francesca Balzani, però, a fronte di «tendenze strutturali, non favorevoli alle prospettive di sviluppo della previdenza complementare, vi sono interventi che il decisore politico può prendere in considerazione».

Fra gli altri, sostegno all’adesione dei giovani, anche con forme di incentivazione fiscale selettive (non un rialzo orizzontale della soglia di detrazione) e nuove politiche di investimento delle risorse dei fondi che sfrutti il lungo orizzonte temporale dell’investimento previdenziale.

Proposte di riforma Covip

In primis viene sottolineata la tenuta del sistema in un periodo caratterizzato da eventi eccezionali. «Pur considerando le perdite del 2022, i rendimenti, valutati in un orizzonte temporale di medio-lungo periodo e facendo riferimento alle medie generali relative a tutti i comparti, rimangono in media positivi, e sostanzialmente in linea con i tassi di rivalutazione del TFR».

La forbice dei rendimenti di fondi e TFR si riduce con l’allungarsi del periodo, ma anche sui 20 anni resta un leggero vantaggio della liquidazione. Questo, in media, ci sono comporti dove invece vincono i fondi pensione: obbligazionari bilanciati, azionari, nel caso dei fondi negoziali anche gli obbligazionari misti.

«Le potenzialità dei fondi pensione nell’offrire nel lungo periodo rendimenti soddisfacenti emergono in modo chiaro per le linee più orientate all’investimento in azioni. Facendo riferimento a un intervallo temporale decennale (da fine 2012 a fine 2022), i rendimenti medi annui composti di tali linee si collocano, al netto dei costi e della fiscalità e per tutte le tipologie di forme pensionistiche, tra il 4,7 e il 4,9 per cento».

Però, questi dati positivi di resistenza e solidità sul lungo periodo, non possono «distogliere l’attenzione dai fattori strutturali che, nel nostro Paese, renderebbero quanto mai necessario un suo consistente ulteriore sviluppo ma che, al contempo, lo rendono oltremodo difficile».

La previdenza complementare «accoglie prevalentemente uomini, di età matura, residenti nel Nord del Paese, inseriti in imprese ragionevolmente solide e in grado di dare continuità ai flussi di finanziamento. Donne, giovani, lavoratori del Sud del Paese continuano invece a essere meno presenti. Ciò significa che proprio le figure meno forti, per le quali sarebbe più pressante la necessità di un futuro previdenziale più solido fanno più fatica a entrare nel mondo della previdenza complementare».

C’è un importante fattore legato al forte ruolo del primo pilastro, che rende difficile lo sviluppo della previdenza integrativa a maggior ragione in presenza dei fattori di equilibrio sopra esposti. Come intervenire? Francesca Balzani non ritiene efficace un’eventuale innalzamento del tetto di deducibilità, attualmente pari a 5mila 164,57 euro l’anno. Il contributo medio è oggi pari a 2mila 770 euro, e «solo i lavoratori delle fasce di reddito più elevate sono in grado di dedurre i contributi fino al limite massimo».

Il punto è il seguente: «chi più avrebbe bisogno di un’integrazione del reddito pensionistico è paradossalmente meno in grado di partecipare alla previdenza complementare».

La proposta: «gli attuali incentivi andrebbero rimodulati in funzione del reddito degli iscritti eventualmente prevedendo un intervento diretto dello Stato a sostegno delle posizioni pensionistiche di determinate categorie, e in particolare dei più giovani». E i meccanismi di incentivazione potrebbero diventare più selettivi.

Ad esempio, limiti ai contributi deducibili, non più su base annuale bensì pluriennale, misura che eviterebbe «di penalizzare coloro che non sono in grado di destinare ogni anno alla previdenza complementare un flusso stabile di contributi e per altro verso incentivando l’adesione e la contribuzione di lavoratrici e lavoratori i cui redditi sono più volatili, come in molti casi del variegato panorama del lavoro autonomo».

Infine, scelte più efficaci sul fronte degli investimenti, per esempio «tramite un’esposizione iniziale più elevata nei titoli azionari, caratterizzati da maggiore volatilità ma pure da rendimenti attesi più elevati, e una progressiva riduzione di tale esposizione via via che si avvicina il pensionamento».