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False Partite IVA: niente tasse con la denuncia

di Barbara Weisz

Pubblicato 6 Agosto 2014
Aggiornato 8 Ottobre 2015 09:11

Giudice tributario dà ragione a un lavoratore che rifiutava di pagare le tasse derivanti da un falso rapporto di lavoro a Partita IVA e impone controlli all'Agenzia delle Entrate.

I contribuenti costretti dal datore di lavoro ad aprire false Partita IVA non devono pagare le tasse come se fossero effettivamente autonomi e l’Agenzia delle Entrate deve sempre controllare l’effettiva regolarità del contratto di collaborazione prima di avanzare richieste fiscali: una sentenza storica, quella della commissione tributaria di Viterbo, ha dato ragione a un operaio edile assunto a Partita Iva mentre in realtà svolgeva mansioni da dipendente. Una classica situazione da “falsa Partita IVA“, insomma.

=> False Partite IVA: gli impegni del Ministero del Lavoro

La sentenza

Il lavoratore con mansioni da subordinato e contratto da consulente si era rifiutato di pagare le tasse come autonomo (IRPEF, IVA e IRAP), presentando denuncia della propria situazione presso la CTP e chiedendo l’annullamento dell’imposizione fiscale. Risultato: il giudice gli ha dato ragione. Non solo: ha anche stabilito che l’Agenzia delle Entrate quando un contribuente apre Partita IVA effettui controlli per stabilire se si tratta effettivamente di un lavoratore autonomo. Non può considerarlo tale e avanzare le relative pretese tributarie solo perché ha aperto Partita IVA.Se il contribuente opera come lavoratore dipendente, le fatture che emette a fronte del salario che gli viene corrisposto sono da considerare “operazioni inesistenti” e quindi non comportano il pagamento delle relative tasse, né per il datore di lavoro la possibilità di portare l’IVA in detrazione. Si tratta, spiega la sentenza, di

«operazioni truffaldine sanzionabili» e non di «operazioni che ricadono nell’ambito dell’applicazione del tributo e che possono legittimare un accertamento al fine di fare emergere a carico del lavoratore una vicenda di evasione di imposta».

Per dirla in parole molto più semplici, un lavoratore che avrebbe diritto a un contratto da dipendente e in realtà viene costretto a figurare come autonomo non deve subire oltre al danno contrattuale la beffa fiscale. Anzi, l’accertamento nei suoi confronti «non ha fondamento giuridico», mentre invece l’Agenzia delle Entrate, davanti all’apertura di una Partita IVA, deve verificare se esiste effettivamente l’inizio di un’attività per cui ricorrono i presupposti per l’applicazione del tributo.

La normativa

Contro le “false Partite IVA” oltre agli impegni ministeriali di effettuare maggiori controlli, un giro di vite è arrivato con la Riforma del Lavoro 2012, che impone paletti più rigidi.

=> Partite IVA: come applicare la Riforma del Lavoro

I rapporti di lavoro da dipendente mascherati da Partita IVA continuano a essere molto diffusi: ora, oltre alle leggi e agli impegni del ministero, per contrastarli c’è anche una sentenza che rappresenta un importante riferimento giuridico.