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Tra Superbonus e PIL, nubi sulla Legge di Bilancio 2024

di Barbara Weisz

5 Settembre 2023 11:21

Le nuove stime sul costo del Superbonus sfiorano i 100 miliardi, pesa la diversa classificazione Eurostat: analisi dell'impatto sui conti in vista della Manovra 2024.

Le nuove stime sul costo per lo Stato del Superbonus 110% sfiorano i 100 miliardi di euro, con un maggiore peso derivante essenzialmente dalla diversa classificazione in Bilancio indicata da Eurostat nei mesi scorsi. Da qui, un effetto domino sui conti pubblici, che inevitabilmente impattano sulla Legge di Bilancio 2024.

Il problema del Superbonus è dunque l‘impatto sui conti pubblici. Drena risorse della prossima Legge di Bilancio e per questo fa venire il mal di pancia al ministero dell’Economia, Giancarlo Giorgetti.

Attenzione: il Superbonus ha anche contributo alla crescita e abilitato risparmi, per esempio in termini di riduzione dei consumi energetici e delle emissioni di Co2.  Ma il punto, al di là delle analisi costi benefici, è il modo in cui queste cifre vanno contabilizzate.

Il costo del Superbonus

Le nuove stime sul costo del Superbonus 110%, pur dopo lo stop alle cessione del credito previsto nel febbraio scorso, vedono salire il conto di altri 35 miliardi di euro.

In base ai calcoli pubblicati dal Corriere della Sera, significa che il costo per lo Stato della misura fino a questo momento sfiora i 100 miliardi di euro.

Le nuove regole Eurostat

A pesare, come si diceva, sono soprattutto le nuove regole di contabilizzazione. In termini molto semplici, inizialmente si trattava “semplicemente”, si fa per dire, di mancate entrate fiscali spalmate  su un arco di quattro o cinque anni.

Ora invece il Superbonus è diventato una spesa, e soprattutto va conteggiato interamente nell’anno in cui viene riconosciuto. Questo, inseguito ai nuovi criteri contabili previsti dall’ultimo aggiornamento del Manual on Government Deficit and Debt di Eurostat.

In pratica, in base a queste regole, i crediti d’imposta continuano a essere considerati minori entrate se vengono catalogati come “non pagabili“. Cioè se la fruibilità è limitata alla capienza fiscale dell’anno di riferimento. Se invece sono classificati come «pagabili» (in base alla definizione Istat, quando «esiste una ragionevole certezza che, nel corso del tempo, verrà utilizzato nella sua interezza), sono una spesa. E rilevano per l’intero importo nell’anno in cui viene usata l’agevolazione.

L’impatto del Superbonus sul deficit

Specifica l’istituto di statistica (nota su Pil e indebitamento del primo marzo 2023): «l’impatto complessivo della misura agevolativa sul deficit delle Amministrazioni pubbliche è il medesimo, sia che la stessa sia registrata come minore entrata tributaria, sia che venga registrata come maggiore spesa. Muta, invece, il profilo temporale di tale impatto: quando la misura è classificata “non pagabile”, l’impatto è diluito negli anni di utilizzo del credito fiscale. Quando è classificata “pagabile”, l’impatto sull’indebitamento delle Amministrazioni pubbliche si concentra invece esclusivamente nel primo anno.

Senza entrare troppo nel dettaglio, questa nuova classificazione appesantisce i conti pubblici, facendo crescere il deficit più del previsto (per la precisione, più di quanto veniva calcolato con le vecchie regole). Una crescita sostenuta potrebbe assorbire il contraccolpo (in termine di rapporto deficit-pil), ma l’attuale congiuntura sotto questo profilo è critica, con un sensibile rallentamento del pil rispetto ai due anni di ripresa post Covid (il secondo trimestre di quest’anno è stato addirittura negativo per lo 0,4%).

L’impatto su crescita e transizione energetica

E’ vero che il Superbonus in realtà ha contribuito alla crescita sostenuta degli ultimi anni. Ha stimolato la ripresa del settore delle costruzioni dopo lo stop imposto dalla pandemia, ha impattato positivamente sull’occupazione. Sul fronte macro, ha anche avuto effetti negativi (per esempio in termini di inflazione). Secondo l’analisi di Nomisma (110% Monitor del febbraio 2023), il Superbonuns ha avuto un impatto positivo pari a 195,2 miliardi di euro, ha aumentato l’occupazione di circa 1 milione di unità (+ 641mila occupati nelle costruzioni e 351mila nei settori collegati), oltre ad avere favorito la transizione energetica (emissioni di Co2 ridotte del 50% e risparmi in bolletta tra il 30,9% e il 46,4%).

Anche la Banca d’Italia, in audizione sugi effetti macroeconomici dei bonus edilizi (marzo 2023), sottolinea l’impatto positivo in termini di investimenti in costruzioni aggiuntivi, domanda, occupazione, transizione ecologica. Per contro, però, sottolinea l’impatto negativo sull’inflazione (le agevolazioni edilizie hanno provocato il rialzo delle materie prime, prima che scoppiasse la crisi energetica legate per lo più alla guerra in Ucraina). E invita a valutare il costo per i conti pubblici considerando il minore impatto di questa tipologia di investimenti sulla produttività e sulla crescita economica nel lungo periodo rispetto a possibili impieghi alternativi». La strada indicata da Bankitalia va verso incentivi edilizi stabili nel lungo periodo, efficaci anche in logica redistributiva, sostenibili per le finanze pubbliche.

Verso la Manovra 2024

Tornando ai mal di pancia di Giorgetti, il punto è che al momento l’Italia cresce poco (il secondo trimestre del 2023 è stato addirittura negativo per lo 0,4%), quindi è più difficile assorbire aumenti di spesa. E malgrado lo stop alle cessioni previsto nel febbraio scorso (dl 11/2023), la Manovra dovrà scontare un impatto negativo determinato dal Superbonus più ingente del previsto. Quindi, ci saranno meno risorse a disposizione per finanziare eventuali altre misure di sostegno ala crescita.

Malgrado questo, la Legge di Bilancio dovrebbe contenere misure a sostengo di chi ha iniziato i lavori e non riesce a terminarli entro fine anno (nel 2023 il Superbonus è al 90%, dal 2024 scende al 70%). Fra le anticipazioni, la possibilità di proseguire con le aliquote 2023 a fronte di un determinato stato di avanzamento lavori.