La sentenza della Corte Costituzionale sul blocco pensioni pone una serie di considerazioni relative al rapporto fra legislazioni fiscali, diritti del contribuente, sensibilità istituzionale della magistratura. Il fatto è ormai noto a tutti: la Corte Costituzionale ha bocciato una legge (nella fattispecie, alcuni commi della Riforma delle Pensioni contenuta nel Salva Italia di fine 2011) che aveva bloccato l’indicizzazione delle pensioni superiori a tre volte il minimo negli anni 2012 e 2013.
=> Blocco pensioni: riforma Fornero incostituzionale
Conseguenza: lo Stato deve restituire ai pensionati le somme non versate per effetto del blocco dell’indicizzazione. Si può immagnare la comprensibile soddisfazione dei pensionati (che incasseranno il dovuto). Viceversa, la sentenza ha provocato anche l’immediata necessità, per governo e parlamento, di correre ai ripari per evitare eccessivi danni al bilancio pubblico. L’Italia, è noto, ha conti in regola ma al limite de parametri europei, e non può rischiare nuove procedure di infrazione.
E’ difficile prendere una qualsiasi posizione di fronte a un fatto di cui non può sfuggire la complessità. E’ sacrosanto il diritto dei pensionati a incassare la pensione, e le norme (che negli ultimi anni si sono succedute con allarmante frequenza) che in realtà intaccano questo diritto non sono certo difficili da criticare. Basta il senso comune per capire che il legislatore dovrebbe evitare, in tutti i modi, di intaccare un diritto acquisito, la pensione, costituzionalmente garantito (come ha fatto notare la sentenza della Corte), partendo da assegni inferiori ai 1500 euro al mese (quindi, al di fuori di qualsiasi accettabile logica redistributiva).
E anche vero che il Governo Monti, che mise a punto quella legge, e le Camere, che la approvarono con un maggioranza che abbracciava quasi l’intero arco parlamentare, agirono senz’altro in un momento di emergenza, nel periodo in cui lo spread era salito alle stelle e i rischi di stabilità della finanza italiane hanno probabilmente toccato il punto più critico.
Resta comunque difficile non criticare la pratica di fare cassa sui pensionati. In questo senso, la sentenza della Corte è salubre, fissando uan volta per tutte un principio che sarebbe stato meglio non dover ripetere scomodando i massimi organi della magistratura.
Allo stesso modo, è difficile non recepire le istanze di coloro che criticano la scarsa sensibilità dimostrata dalla Corte con una sentenza che ha un effetto immediato e notevolissimo sui conti pubblici. Qui, in realtà, il discorso è molto delicato: la separazione dei poteri è base dello stato di diritto, ed è corretto che le sentenze della magistratura, a tutti i livelli, si preoccupino innanzitutto di far rispettare le leggi, indipendenetemente dal potere politico.
Non manca però di senso l’affermazione secondo cui una collaborazione positiva fra i diversi poteri sia a sua volta garanzia e tutela per il cittadino. E’ difficile, per chiunque non sia un costituzionalista, stabilire quale sarebbe stata da parte della Corte la soluzione ideale per tenere conto anche di una questione certamente nota ai magistrati chiamati a decidere sul caso in oggetto (la situazione dei conti pubblici in un momento in cui il paese sta agganciando la ripresa). Anche qui, basta il senso comune per capire che era meglio non succedesse. Ecco, forse è questo il commento maggiormente adeguato: i pasticci, è sempre meglio evitarli.