L’Università di Bologna… virtualizzata

di Noemi Ricci

2 Gennaio 2008 09:00

Passare da 200 a 7 server e da 35 a 4 sistemisti. E inoltre implementare un sistema di business continuity e di disaster recovery. Il CeSIA ci è riuscito con la virtualizzazione e un cambiamento gestionale

Virtualizzare, consolidare, formare il personale

Questa approfondita analisi ha portato alla consapevolezza dell’esigenza di consolidamento applicativo e hardware. Lo stesso dott. Alessandro Cantelli afferma che «non si fa consolidamento hardware senza pensare al consolidamento applicativo», così negli ultimi due anni al CeSIA si sono concentrati sul consolidamento applicativo, partendo comunque da un’ottima carta dei servizi offerta all’utenza.

Per quanto riguarda il consolidamento hardware, sono fondamentali un virtual machine monitor comune e varie virtual machine che ospitano diversissimi sistemi operativi. Per fare virtualizzazione è necessario avere una architettura consolidata, costituita da un’ottima storage area network fatta con un tessuto di connessione calcolatori-disco estremamente efficacie e performante, sistemi disco scalabili, quindi Storage Array, e calcolatori multiprocessore scalabili.

Lo stato precedente prevedeva svariati server e sistemisti, ognuno dei quali gestiva la propria macchina. Il nuovo progetto prevede invece 4 sistemisti e una nuova architettura, costruita nell’ottica del riuso di quello che si aveva poiché, per questioni di fondi, non si è potuto creare una architettura completa interamente nuova, ma solo delle parti fondamentali sopra citate. Per prima cosa è stato fatto un sito di disaster recovery e business continuity (per volontà del rettore stesso) a seguito di una analisi dei rischi e di una accurata scelta delle applicazioni per il business continuity.

Esistono due differenti strategie per simulare un ambiente: l’emulazione, che consiste nell’eseguire sistemi operativi e applicazioni propri di una certa architettura su di un’altra, e la virtualizzazione, un meccanismo per creare contesti multipli su di un singolo processore, partizionando le risorse.

Quest’ultima si divide a sua volta in virtualizzazione completa (ottenuta con VMware, MS Virtual server, etc.), che consiste nell’ospitare sistemi operativi non modificati simulando l’hardware, e fare ricorso a sistemi software per intercettare e tradurre operazioni privilegiate (binary translation/dynamic recompilation), e paravirtualizzazione (ottenuta ad esempio con XEN), in cui non viene simulato l’hardware ma vengono offerte API speciali per accedervi, e richiede quindi dei sistemi operativi modificati e hardware “ad-hoc”.

Dal lato software esistono diversi sistemi operativi che consentono la virtualizzazione: l’Università di Bologna ha preso in considerazione Vmware, MS Virtualserver2005 R2 e XEN. Dopo aver effettuato attente analisi e aperto una gara, in cui venivano messi in competizione i vari vendors, ha scelto come soluzione finale VMware. La scelta è stata dettata dai vantaggi apportati in termini di supporto sistemi guest Windows/Linux; console di gestione centralizzata (VirtualCenter); migrazione di processi in esecuzione (VMotion), fondamentale per la business continuity; gestione percorsi ridondati verso I/O; gestione dinamica della memoria; migliori performance; supporto molto professionale. Inoltre Wmware consente di condividere la memoria ram non utilizzata.