Dematerializzazione: sostituibilità legale e scetticismo culturale

di Gianluca Passaro

7 Gennaio 2009 09:00

Si parla oggi di digitalizzazione in riferimento al raggiungimento degli obiettivi di efficacia, efficienza ed economicità

E sul fronte della dematerializzazione nella gestione dei rapporti con le imprese, mentre le periodiche analisi dell’Osservatorio eProcurement nella Pubblica Amministrazione della School of Management del Politecnico di Milano sottolineano una tendenza particolarmente positiva rispetto alla adozione di sistemi di gestione telematica di acquisti, approvvigionamenti ed appalti (1,2 miliardi di Euro nell’ultima rilevazione, pari tuttavia al solo 1% del volume totale di acquisti della PA centrale e locale), occorre notare che la sola ENEL attraverso il proprio portale degli acquisti ha gestito circa 2.000 gare online, per un importo complessivo di circa 1,3 miliardi di euro (fonte: www.enel.it, sezione dei rapporti con gli stakeholders ed i fornitori).

Questa sommaria ricognizione sembra utile a supportare la riflessione circa i limiti culturali che vive, oggi, la diffusione dell’e-Government in particolare rispetto ad un obiettivo strategico come quello della dematerializzazione. Famiglie e privati spendono costantemente in ICT, e in grado diverso lo fanno anche le imprese, a rappresentare un consumo consolidato di forme di servizio “dematerializzati”; domanda ed offerta di servizi dematerializzati ? anche di natura economica ? sono in crescita tra privati ed imprese e tra le stesse imprese; mentre la PA, pur in una cornice programmatica di costante accompagnamento all’innovazione, mediamente non riesce a tradurre le opportunità offerte dalle norme e dalle tecnologie verso obiettivi concreti di miglioramento economico, gestionale e di relazione verso l’utenza. Se resta corretto preoccuparsi delle barriere digitali (Digital Divide), appare ancora più concreto affrontare una realtà di “barriere all’innovazione” (diremmo per analogia Innovation Divide).

L’e-Government è solo una risposta alle esigenze di innovazione (competitività, globalizzazione), o può innescare un vero e proprio processo di innovazione sociale nelle relazioni tra PA, cittadini ed imprese? Se l’innovazione si riflette soprattutto nella dimensione sociale, come comunicare efficacemente l’innovazione perché incida sui comportamenti quotidiani di erogatori ed utenti di servizi? È nel rapporto con il territorio che va ricercata la chiave per comprendere la portata di un processo di cambiamento e dei suoi ritardi, un processo che proprio per gli attori che mette in gioco non può essere autoreferenziale (non può cioè esaurirsi nel perimetro dell’efficienza di gestione della PA), ma deve poter essere inquadrato prima ancora che nei suoi aspetti quantitativi, rispetto alla dimensione che è più coerente con la missione della Pubblica Amministrazione: la dimensione sociale e di relazione, appunto, con i suoi utenti. Abbattere le barriere all’innovazione, anche nel contesto della dematerializzazione, vorrà dire innanzitutto proporre (e comunicare) modelli credibili ed istituzionalmente affidabili di servizio, esattamente come dimostrano i casi di generalizzato successo nel mercato dei servizi online del privato. Un percorso che è essenzialmente di costruzione di una identità: identità di chi è chiamato ad attuare le politiche per l’innovazione, identità di chi lavora per dare forma e contenuti agli strumenti dell’innovazione nella PA, identità delle attese nei confronti della PA.