Luci ed ombre dell’interoperabilità documentale

di Giancarlo Iannizzotto

22 Ottobre 2007 09:00

Standard aperti, ODF, OOXML: quale formato adottare per un sistema di documenti digitali rispondenti alle normative e alle esigenze della PA?

Compare quindi il concetto di formato aperto per i documenti digitali, con un chiaro obbligo per la PA di acquisire solo software che sia in grado di produrre documenti in almeno uno dei formati aperti, definiti non come standard aperti ma solo come formati esaustivamente documentati. Questo lascia la porta aperta ad eventuali fornitori che, dopo aver ottenuto l’adozione del proprio formato da parte della PA, rilasciando pubblicamente le specifiche di una delle sue versioni, potrebbero successivamente modificarlo a piacimento rilasciandone nuove versioni. Questo costringerebbe gli altri produttori ad un disperato inseguimento basato solo su documentazione possibilmente complessa, non chiara e lunghissima.

Inoltre, ciò porterebbe la PA ad restare vincolata all’unico produttore in grado di fornire gli aggiornamenti (meccanismo del locking-in). Altri problemi potrebbero poi sorgere a causa della complessa materia di licenze a fornitori terzi: sebbene la descrizione del formato sia pubblica, non è detto che sia completamente scevra da vincoli di licenza. Sapere cosa fa un programma non significa poterlo emulare: per farlo bisogna avere la licenza. Per questo servono gli standard aperti.

La lotta per gli standard aperti

Nel Marzo 2007 il Ministro per le Riforme ed Innovazioni nella Pubblica Amministrazione ha pubblicato il documento “Verso il sistema nazionale di e-government – Linee strategiche” nel quale si parla, in più occasioni, di «standard e specifiche aperte» e di impiego di «software a sorgente aperto» (open source).

In questo quadro si inserisce, quasi in sordina, un altro evento significativo: a fine 2006 (il comunicato ufficiale è di gennaio 2007) l’ente nazionale di standardizzazione UNI pubblica lo standard UNI CEI ISO/IEC 26300 adozione nazionale della norma internazionale ISO/IEC 26300, relativa al già ben noto formato aperto ODF (Open Document Format). Realizzato in ambito open source e accettato come standard aperto da ISO e da UNI, è un formato aperto, espandibile e molti gruppi di utenti e diverse amministrazioni pubbliche in diversi paesi in Europa e nel mondo hanno adottato questo software, anche forti dello standard ISO.

In Italia, le conseguenze della standardizzazione del formato ODF potrebbero essere di notevole rilievo. È infatti noto che un gran numero di Amministrazioni Locali e di uffici dell’Amministrazione Centrale fanno ancora uso di versioni di Microsoft Office precedenti alla versione 2003, che impiegano formati di file binari e non aperti, peraltro non completamente documentati. Quindi non corrispondono per nulla alle specifiche imposte per il software acquisibile dalla PA Qualora la PA dovesse acquisire nuove licenze per questo software, potrebbe contravvenire alle normative (in particolare al C.A.D.).

A partire dalla versione di Office 2003 però, Microsoft ha aggiunto un nuovo formato dei file, che di recente ha chiamato OOXML (Office Open XML) ed ha sottoposto all’ISO per la standardizzazione. Poiché è stata pubblicata una documentazione molto ampia a descrizione del formato OOXML, in virtù del C.A.D. le versioni di Office 2003 e seguenti potrebbero forse essere adottate dalla nostra PA, non senza qualche forzatura.