Diritti umani e carceri, il Comitato europeo per la prevenzione della tortura

di Alfredo Bucciante

26 Maggio 2010 09:00

Istituito nel 1987 sulla base della Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, lavora come organo del Consiglio d'Europa dal 1989

Oltre a questo tipo di contatti, frequenti sono poi le relazioni, per così dire, interne, cioè con le istituzioni europee, sia quelle appartenenti al Consiglio d’Europa che all’Unione Europea. Ci sono anche rapporti con organismi internazionali, come l’Onu o l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, e anzi nei prossimi anni si prevede che saranno destinati a crescere.

Leggendo i Rapporti si ha inoltre un quadro diretto sulle condizioni carcerarie nel Continente. Come detto, il Comitato opera da venti anni, e anche se manca una prospettiva temporale di lunghissimo periodo, si ha comunque un interessante spaccato della situazione esistente. E si scopre ad esempio che anche la Finlandia può subire un rilievo, per il fatto che in alcuni casi i detenuti sono costretti ad espletare i propri bisogni naturali in dei contenitori, restando all’interno della cella.

Problemi diversi, certo, rispetto a quello che può capitare di trovare in luoghi di detenzione di posti che per certi versi appaiono lontani all’idea abituale che abbiamo di Europa, come ad esempio la Cecenia. Proprio questa regione del Caucaso del Nord è stata interessata da tre dichiarazioni pubbliche. L’ultima, del 2007, può essere utile da leggere perché emblematica delle difficoltà di fronte alle quali si può trovare il Comitato. Nella visita di aprile/maggio dell’anno precedente, la delegazione non era in un primo momento addirittura riuscita a raggiungere il villaggio di Tsentoroy, rispetto al quale c’erano forti sospetti che ospitasse luoghi di detenzione illegali. Sbloccata la situazione con le autorità locali, la visita si è tenuta dopo due giorni.

Nel corso degli anni il Comitato ha poi individuato una serie di regole e buone pratiche, che sono state spesso accolte, a livello di Consiglio d’Europa, in sede di elaborazione di regolamenti, e che sempre più frequentemente vengono citate dalle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo.