Una dipendente del Comune di Vicenza ci ha fatto presente che «la maggioranza dei dipendenti pubblici del Comune percepisce stipendi netti mensili che vanno da 936,70 euro (categoria A1) a 1.162,37 euro (categoria C4), in base dell’ultimo rinnovo contrattuale 2002/2005 e che però la qualità negli uffici comunali, così come negli altri servizi del Comune (asili nido, scuole materne) è ottima come lo è per moltissimi altri luoghi di lavoro del pubblico impiego.
Tuttavia il continuo processo di privatizzazione di interi settori pubblici, i tagli del personale e delle risorse, creano spesso situazioni nelle quali la confusione e lo “scadere della qualità del lavoro” diventano realtà e i primi a pagarne le conseguenze sono gli utenti e i dipendenti».
Possibili soluzioni
Aumentare gli stipendi. Chi è abituato a lavorare poco, continua a lavorare poco anche se prende di più a fine mese. Diventa allora necessaria l’introduzione di una parte variabile della retribuzione, legata alla produttività: più si lavora e si produce e maggiore è l’entità variabile a cui si ha diritto. Ma a questo punto il problema è la corretta misurazione dell’aumento di produttività per un dipendente pubblico.
Non vuol dire ovviamente lavorare di più, perché si ricadrebbe nell’istituto del lavoro straordinario. Significa lavorare meglio. Ma come si stabilisce se una pratica lavorata da uno sia migliore di quella lavorata da un collega? E se si deve stabilire la produttività di un insegnante, di un medico magari? Ancora più difficile è misurare la produttività dei pubblici dipendenti che non operano sul mercato o operano in condizioni di monopolio: in questi casi mancano ragionevoli comparazioni con strutture private. Ad oggi il problema resta aperto.
Ci sono casi, purtroppo, in cui pur avendo trovato una soluzione per valorizzare i dipendenti più capaci (un sistema di assegnazione degli incarichi adeguati alla specifica esperienza), si è verificata un’assegnazione di posizioni lavorative su base puramente clientelari.