Dati riservati: la curiosità non è reato

di Stefano Gorla

15 Gennaio 2008 09:00

Una recente sentenza del Tribunale di Nola rischia di modificare la legge che salvaguarda i dati riservati custoditi dalle PA. Ecco le novità e i possibili pericoli

Infine il quarto comma introduce la procedura d’ufficio per gli abusi commessi dal pubblico dipendente: «nel caso previsto dal primo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa; negli altri casi si procede d’ufficio». Non ci sono dubbi che il reato deriva dallo sfruttamento della possibilità di accesso a un sistema protetto per fini diversi da quelli per i quali si è autorizzati.

Come cambia la situazione dopo la sentenza di Nola

Tuttavia il Tribunale di Nola introduce una variante nell’elemento psicologico del reato. Anche se l’elemento oggettivo, ossia il delitto, si è manifestato, la convinzione da parte del pubblico dipendente di non commettere alcunché di illecito può arrestare l’azione penale nei suoi confronti. Ne deriva che un dipendente dell’Agenzia delle Entrate può evitare una condanna penale per accesso abusivo all’Anagrafe Tributaria, in quanto ha risposto semplicemente al suo bisogno di curiosità.

Per il Tribunale di Nola occorre, per definire il reato, la consapevolezza del pubblico dipendente di violazione del diritto alla riservatezza come definito dalla Legge 32.12.1996 n.675 ? c.d. Legge sulla Privacy – e dal Decreto Legislativo n. 196 del 30 giugno 2003 ? Codice in materia di protezione dei dati personali 1.

Quindi il pubblico dipendente che, in assenza di una attività di accertamento tributario, entra nella banca dati dell’Agenzia delle Entrate per consultare la posizione anagrafica (e non fiscale) del Presidente del Consiglio dei Ministri o di un qualsiasi cittadino, non commette reato di sorta. La perplessità è legittima se si pensa che è possibile usare una banca dati come quella indicata alla stregua di un qualsiasi motore di ricerca.