Buoni fruttiferi: bufera sugli interessi

di Anna Fabi

Pubblicato 25 Luglio 2019
Aggiornato 12 Gennaio 2022 11:07

Pioggia di ricorsi sui buoni postali all'ABF, che in certe condizioni sta dando ragione ai consumatori: ecco come capire se spettano interessi maggiori.

Una recente sentenza del Tribunale di Parma si è posta in contrasto con precedenti sentenze della Cassazione, stabilendo il diritto ad ottenere gli interessi indicati sui Buoni Postali fino all’entrata in vigore di riduzioni di legge. Ora l’Arbitro Bancario Finanziario, in diversi contenziosi, sta dando anch’esso ragione ai consumatori, imponendo a Poste il versamento di quanto dovuto.

Il gran caos dei buoni postali

In pratica, secondo i giudici del Tribunale di Parma, se il Buono Postale riporta un tasso di interesse maggiore rispetto a quello previsto Decreto Ministeriale emanato successivamente alla sua emissione, le Poste devono riconoscere gli interessi maturati precedentemente a tale decisione di riduzione.

=> Buoni Postali: come ottenere interessi maggiori

Diversamente, per le Sezioni Unite della Suprema Corte l’efficacia del decreto non poteva essere negata (sentenza n. 3963/19), dunque per i giudici supremi lo Stato può cambiare le regole anche in modo retroattivo. Eppure in una precedente sentenza del 2007, la stessa Cassazione aveva affermato che sottoscrivere un buono fruttifero postale, insieme al suo tasso di interesse, equivale in tutto e per tutto a firmare un contratto che non può essere modificato in corso d’opera.

=> Arbitro Bancario Finanziario per le controversie

Come capire se spettano interessi maggiori

I casi analizzati dall’ABF vedono coinvolti i consumatori in possesso di buoni fruttiferi postali della serie O o P rilasciati dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo 284/1999, quando le Poste avrebbero dovuto emettere buoni della serie Q. I vecchi moduli delle serie O e P indicavano tassi superiori a quelli in realtà applicabili. In realtà Poste avrebbe potuto, secondo la norma, usare i vecchi buoni della serie P, non quelli della serie O, fino a esaurimento a patto di apporre due timbri: uno sul fronte con scritto “Serie P-Q” e uno sul retro con l’indicazione dei nuovi rendimenti a trent’anni. Alcuni impiegati avrebbero tuttavia dimenticato di apporre questi timbri, o li ha timbrati in modo sbagliato indicando solo i nuovi interessi, ma non la rendita.

Insomma un gran caos, che ha portato i consumatori a presentare una pioggia di ricorsi all’Arbitro Bancario Finanziario che sta dando ragione ai risparmiatori imponendo a Poste Italiane di versare parte degli interessi dovuti, perché indicati sui buoni, e non riconosciuti.