
Il Governo apre alla proposta di consentire lo smaltimento dei crediti edilizi in compensazione tramite F24. E’ il risultato fondamentale dei vertici di lunedì 20 febbraio con le associazioni di categoria coinvolte nel blocco della cessione dei bonus, e con ABI (banche), CDP e SACE (garanzie sui crediti).
Resta la posizione fermissima dell’esecutivo sullo stop al mercato dei bonus fiscali, ritenuti dal Governo Meloni responsabili di alimentare il deficit e mettere a rischio i conti pubblici, ma si cerca una soluzione ponte per dare una risposta immediata a una fetta importante del mondo produttivo italiano, dall’oggi al domani ritrovatosi con un pugno di mosche in mano.
Il vertice con le imprese edili
«Siamo soddisfatti, abbiamo trovato apertura e grande consapevolezza da parte del Governo che vanno sbloccati i crediti pregressi, quindi un’apertura all’F24 che era una proposta nostra e di ABI, e un tavolo immediato per il futuro. Il Governo è consapevole che le misure vanno prese rapidamente» ha dichiarato, uscendo da Palazzo Chigi, la presidente di ANCE (costruttori edili) Federica Brancaccio. Aggiungendo che il tavolo sta valutando anche altre ipotesi. «Si è ragionato sulla possibilità di consentire eventualmente lo sconto in fattura per alcune fasce di reddito e per gli incapienti». Si è anche fatto «giusto un accenno all’eventuale disponibilità di CDP». Il viceministro ai Trasporti Edoardo Rixi aveva precedentemente dichiarato, a margine di un convegno, che un intervento di CDP è in effettoi una delle ipotesi allo studio. ANCE ha anche chiesto «un’apertura da parte delle partecipate a comprare i crediti pregressi».
Cessione crediti: come si è arrivati al blocco
Eurostat ha definito nei giorni scorsi i tax credit in edilizia come una voce contabile che non genera debito pubblico ma rientra nel deficit e richiede una classificazione contabile puntuale in bilancio (attesa per marzo). La decisione di Governo di sospendere le cessioni, tuttavia, era stata maturata da tempo ed ha semplicemente colto l’occasione del report per agganciarsi al contesto attuale e portare in Consiglio dei Ministri un decreto che preparava da tempo.
L’accusa rivolta alla pratica di cessione dei crediti edilizi è quella di minacciare la stabilità dei conti italiani. La realtà dei fatti è un accumulo enorme di crediti incagliati per un garbuglio normativo che da oltre un anno non ha trovato mai vere soluzioni.
Le banche avevano infatti smesso di acquisire crediti prima di tutto per il problema della capienza fiscale, visto che le operazioni effettuate nel 2021 e 2022 hanno del tutto saturato la possibilità di procedere con nuove pratiche. L’altro nodo era invece rappresentato dal timore di responsabilità in solido per i lavori rimasti a metà, motivo per cui avevano del tutto chiuso i cordoni delle borse. Due problemi per i quali da mesi si proponevano soluzioni semplici, come la possibilità di spalmare fiscalmente su più annualità i crediti acquistati (proposta mai accolta) e di svincolare “a valle” le banche dai rischi derivanti da abusi “a monte” (soluzione prevista adesso dal nuovo decreto).
Anche i presunti “110 miliardi di debito generati dal Superbonus” – citati dal Ministro per i rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, per motivare il blitz in Consiglio dei Ministri di venerdì scorso, che ha approvato il Decreto blocca cessioni – sarebbero in realtà gli investimenti attivati, per un incremento del PIL pari a 6,7% nel 2021 e al 3,9% nel 2022.
Le priorità da risolvere subito
I problemi immediati da risolvere sono almeno due: il blocco dei cantieri del Superbonus che avevano iniziato i lavori ma poi si erano ritrovati con i crediti incagliati nei cassetti fiscali; la mancanza di liquidità delle imprese di costruzione che avevano applicato lo sconto in fattura e acquisito i crediti da famiglie e condomini cedenti, salvo poi ritrovarsi con le banche che non riescono a monetizzare il credito di questi cessionari.
Oltre alle migliaia di cantieri fermi in tutta Italia, che adesso saranno in molti casi definitivamente smantellati (a spese di chi?), secondo le stime dell’Associazione dei Costruttori Edili (ANCE), ci sarebbero circa 25mila imprese in crisi di liquidità a causa dell’ingessamento delle operazioni di cessione, che ora rischiano il fallimento.
Il nuovo decreto di governo sblocca il nodo delle responsabilità dei cessionari (tanto quella delle imprese edili quanto quella delle banche), nel momento in cui possono dimostrare che il credito acquisito è stato accompagnato da tutta la documentazione che ne comprova la buona fede e la piena diligenza in relazione alle verifiche preventive richieste per legge. Da qui, pertanto, si auspica quanto meno lo sblocco delle vecchie pratiche, visto che le banche non devono più temere di accollarsi gli oneri di progetti edili non completati.
Resta il problema delle nuove pratiche che, sempre in base al nuovo decreto, vengono graziate dalla scure di Governo: i progetti per i quali erano già partiti i lavori o che avevano la CILAS (o altro titolo richiesto) già rilasciato al 17 febbraio, data di entrata in vigore del Decreto Legge che abroga le due opzioni di sconto in fattura e di cessione del credito per le detrazioni fiscali in edilizia.
Il nodo politico e le prime aperture
Si tratta anche di una questione politica: il Governo, per voce del Ministro dell’Economia e non solo (vi ricordate le parole di Giorgia Meloni quando ironizzava sulla “ristrutturazione a costo zero” introdotta dal governo Conte?) ha fatto del decreto uno strumento di ulteriore contrasto con una parte dell’opposizione. Senza peraltro evitare malumori anche all’interno della maggioranza, nel timore che la nuova presa di posizione blocchi del tutto il mercato dell’edilizia e affondi un elemento di traino per la crescita economica.
Forse anche per questo, all’indomani del decreto shock, il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Tommaso Foti, aveva introdotto una prima ipotesi di soluzione ponte, ossia la cartolarizzazione dei crediti ceduti:
Non possiamo mettere a rischio i conti pubblici ma siamo pronti a modifiche.
Per l’eventuale introduzione di modifiche, la sede sarà l’iter di conversione in legge del decreto, con un passaggio parlamentare che si preannuncia a dir poco scoppiettante.