File sharing illegale, l’indirizzo IP non è come la carta d’identità  …

di Davide Di Felice

Pubblicato 13 Luglio 2009
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:37

Rivoluzionaria decisione del Tribunale di Roma. Archiviato (su richiesta dell'accusa) il procedimento avviato nei confronti di un utente privato – individuato tramite indirizzo IP del computer casalingo – al quale si contestava la condivisione tramite sistema peer-to-peer di materiale protetto dal diritto d'autore.

Nel formulare la richiesta di archiviazione, il pubblico ministero ha sottolineato che nel caso di specie la responsabilità  dell'imputato (in questo caso imputata) si radicherebbe per il solo fatto di essere costei la proprietaria della linea telefonica a servizio del computer.

Mentre non vi è prova certa di chi ne abbia fatto uso, specie con le condotte di download che si vorrebbero criminalizzare.

Onde non appare possibile contestare in fatto all'indagata il reato per cui si procede, che potrebbe essere attribuibile ad altri soggetti che facciano uso o abbiano fatto utilizzo anche saltuario del computer sequestrato.

Il giudice per le indagini preliminari ha accolto i rilievi dell'accusa.

Infatti, non vi è prova certa che l'intestatario della linea telefonica abbinata al PC da cui è partito l'input sia di fatto colui che ha posto in essere la condotta criminosa.

La sentenza riapre il dibattito sulle responsabilità  – anche in azienda – legate ad un utilizzo non consentito dei terminali pc. Per quanto la sentenza sembrerebbe aprire “spiragli”, in azienda non è comunque mai consentito utilizzare computer e reti per utilizzi diversi da quelli lavorativi, soprattutto se legati a software privi di licenza o contenuti digitali piratati, per i quali il titolare risponde in prima persona.