Contratto di apprendistato: i punti deboli della Riforma

di Filippo Davide Martucci

Pubblicato 5 Gennaio 2012
Aggiornato 4 Aprile 2014 11:16

Le criticità della bozza di Testo Unico sull'Apprendistato, emerse dall'analisi di Regioni e parti sociali coinvolte nella Riforma.

Dopo aver analizzato la riforma sull’apprendistato dal punto di vista del mondo imprenditoriale, vediamo cosa ne pensano Regioni e parti sociali, direttamente coinvolte nella stesura definitiva del nuovo Testo Unico, composto di soli sette articoli. Obiettivo, mettere ordine nel marasma di leggi regionali e contratti collettivi del lavoro che fino ad oggi hanno ostacolato l’utilizzo di questo tipo di contratto.

Tre gli ambiti su cui si concentra l’attenzione delle Regioni: la coerenza tra la proposta del Governo e la delegata affidata dal Parlamento all’Esecutivo; i confronti tra i contenuti del decreto e le competenze regionali; la verifica degli articoli che costituiscono il decreto.

Secondo la Cgil, si contano undici punti critici, tra cui: durata dell’apprendistato professionalizzante – resta prevista a sei anni senza prevedere una durata minima del contratto; assenza di vincoli di stabilizzazione degli apprendisti, licenziabili al termine del rapporto; assenza di ammortizzatori sociali e di misure a tutela di altre tipologie contrattuali (stage, tirocini e collaborazioni) “su cui pure c’era un accordo”.

Non solo: nel testo non è stata posta nessuna attenzione al contrasto tra contratto di inserimento ed estensione dell’apprendistato proposta ai lavoratori in mobilità.

Resta inoltre poco chiara la facoltà di svolgimento dell’apprendistato attraverso la somministrazione.

La formazione su tematiche trasversali, poi, è stata ridotta da 40 ore per il primo anno a 24 ore per il secondo anno, per poi scomparire del tutto: «contraddittorio con un rapporto finalizzato all’inserimento professionalmente solido dei giovani nel mondo del lavoro».

Meno dura la Cisl, che apre al dialogo pur evidenziando la necessità di chiarimenti e precisazioni «sul rafforzamento della formazione trasversale, sull’opportunità di riduzione della durata massima, sul contrasto degli abusi nei tirocini e nel lavoro a progetto, sull’equilibrio delle competenze tra Regioni e Stato».

La questione è ancora aperta, e lo sarà per molto data la natura e l’importanza degli argomenti in discussione, certo è che se non ci sarà la volontà politica di rendere l’apprendistato la principale modalità di accesso al mondo del lavoro per i giovani questo non accadrà.

D’altro canto, pur essendo figlia di compromessi, la manovra non può venire totalmente snaturata in nome di una condivisione da parte di tutte le parti in causa, questo infatti significherebbe snaturare il provvedimento e la sua funzionalità: è meglio un testo condiviso da tutti, ma poco aderente alle esigenze del mercato, o uno rispetto cui qualcuno potrà storcere il naso, ma che sia pratico, razionale ed efficiente?

L’ideale sarebbe trovare un punto d’incontro equo tra le esigenze delle imprese che a stento riescono ad uscire dalla crisi, e dei lavoratori, soprattutto giovani, che attraverso una formazione utile e certificabile sperano di entrare, da protagonisti, nel mondo del lavoro.