I distretti industriali: punti di forza e prospettive di sviluppo

di Paolo Di Somma

4 Giugno 2007 09:00

Un quadro sulle caratteristiche peculiari dei Distretti Industriali, con uno sguardo alle chiavi per il futuro sviluppo del sistema

La tematica dei distretti industriali e dei sistemi di impresa taglia trasversalmente argomenti come la globalizzazione, l’internazionalizzazione, l’innovazione, sino a toccare i concetti di efficienza ed efficacia produttiva, di economie di scala e di differenziazione, e tutti i sistemi che riguardano lo scambio e lo sviluppo della conoscenza.

Il tema risulta, quindi, tanto vasto e complesso da trattare, basti pensare alle ripercussioni sui sistemi di gestione aziendale e sulla cultura aziendale di un sistema di fitte relazioni aziendali, che ci orienteremo verso un’analisi dei processi evolutivi legati ai sistemi distrettuali piuttosto che su una descrizione del funzionamento dei distretti stessi.

Iniziamo col chiarire che quando parliamo di distretti industriali parliamo di un sistema, composto da piccole e medie imprese, che focalizzano le proprie risorse su una o più fasi di un medesimo processo produttivo, che risultano, comunque, legate da una fitta rete di relazioni (di tipo orizzontale, verticale e diagonale). Tradizionalmente i distretti industriali, e tutte le forme di economia di agglomerazione, sono analizzate come una struttura di imprese accomunate dalla vicinanza geografica e dall’appartenenza alla stessa “industria”.

Il termine “distretto industriale” è stato utilizzato per la prima volta dall’economista inglese Alfred Marshall, nella seconda metà del XIX secolo, per descrivere la realtà delle industrie tessili di Lancashire e Sheffield. Egli diede la seguente definizione: «Con il termine distretto industriale si fa riferimento ad un’entità socioeconomica costituita da un insieme di imprese, facenti generalmente parte di uno stesso settore produttivo, localizzato in un’area circoscritta, tra le quali vi è collaborazione ma anche concorrenza».

In pratica Marshall individua tutti le caratteristiche da noi prima indicate ovvero:

  • Individuazione di una realtà “socioeconomica”
  • Presenza di una filiera
  • Concentrazione geografica
  • Relazioni allo stesso tempo collaborazione e concorrenza

Secondo la Legge italiana, invece, si definiscono distretti industriali, «aree territoriali locali caratterizzate da elevata concentrazione di piccole imprese, con particolare riferimento al rapporto tra la presenza delle imprese e la popolazione residente nonché alla specializzazione produttiva dell’insieme delle imprese». Definizione che, riprendendo quella classica, sottolinea la stretta relazione tra realtà industriale e sociale.

In Italia, i distretti vantano un posto significativo nella storia e nella vita economica del Paese. Non siamo il primo Paese ad avere sviluppato un sistema industriale basato su logiche di rete, ma rappresentiamo un caso molto particolare sia per la differenziazione che esiste nella nostra realtà industriale, sia per il percorso che ha portato all’affermarsi dei distretti industriali nelle varie regioni.

La nascita e lo sviluppo della politica dei distretti industriali in Italia ha molte cause, alcune legate ad una particolare attenzione delle entità politiche verso questa forma di sviluppo industriale, altre legate ad aspetti più propriamente industriali (decentramento produttivo, riduzione dei costi di trasporto, sviluppo della filiera…).

Analizzando vari casi si possono indicare una serie di elementi, che hanno favorito la nascita del distretto, che si sono ripetuti in più occasioni, come la presenza di una marcata cultura artigiana specializzata o l’esistenza di grosse realtà industriali che hanno dato vita a degli spin-off.

La concentrazione geografica delle filiere ha consentito, comunque, a molte imprese una compartecipazione del rischio industriale legata ad uno sviluppo armonico con la realtà locale. Il sistema dei distretti, infatti, ha avuto la capacità di creare sviluppo riducendo le distorsioni proprie dei sistemi capitalistici ed esaltando l’integrazione della realtà industriale con il tessuto sociale.

L’intrecciarsi delle motivazioni industriali con quelle socio-economiche ci permette di rintracciare i motivi dello sviluppo dei distretti industriali, e di capire perchè fenomeno, pur avendo radici antiche, ha avuto una notevole accelerazione nell’ultimo ventennio e in modo particolare nelle regioni del Centro-Nord.

Ci sono molte strade per spiegare questo fenomeno, una molto efficace prende in considerazione due ordini di fattori:

  • Vantaggi first-nature: legati a fattori oggettivi quali le risorse naturali, il clima, la posizione geografica e la morfologia del territorio
  • Vantaggi second-nature: legata alle economie di scala, ai costi di trasporto, ai costi di insediamento…

Parliamo di “vantaggi” per sottolineare la presenza di fattori favorevoli allo sviluppo industriale, difatti la possibilità di sfruttare determinate risorse, siano esse ambientali o sociali, ha consentito ad alcune realtà (specie nel nord Italia) di sviluppare una marcata cultura industriale basata sullo sviluppo delle realtà artigiane e la valorizzazione della “storia economica” delle singole realtà.

Altre aree geografiche hanno invece basato il proprio sviluppo sulla possibilità di valorizzare la presenza di grossi poli tecnologici o culturali. Ad esempio la nascita dei distretti nel sud Italia si differenzia in base al settore, allo sviluppo dei poli conciari e dell’abbigliamento, si affianca la nascita di piccole realtà industriali focalizzate attorno grandi imprese quali Fiat, Alenia, Bosch…

Ad oggi in Italia si contano circa duecento Distretti Industriali, come già detto, le realtà risultano molto diverse e differenziate, è possibile comunque fare una distinzione di massima:

  • Nord-Ovest: conta circa 40 distretti distribuiti tra Piemonte e Liguria, queste realtà sono caratterizzate da un forte dinamismo, che punta più alla specializzazione che alla concentrazione geografica. Le linee evolutive spingono verso la trasformazione dei Distretti in “poli di filiera” un caso di eccellenza è rappresentato dal polo hi-tech ligure.
  • Nord-Est: è considerata l’area d’eccellenza nella diffusione del modello distrettuale italiano, conta più di 40 distretti, circa il 27% del totale italiano, e rappresenta una realtà in continua espansione.
  • Centro-Nord: conta più di 30 distretti, per una quota superiore al 22% sul totale nazionale, settori particolarmente significativi sono quelli del settore il pelle/cuoio, quello delle calzature, la ceramica, il tessile, l’abbigliamento.
  • Sud: i Distretti rappresentano una realtà che conta più di 10mila imprese, capaci di dare lavoro, nel complesso, a quasi 140mila persone. Rappresentativa di questa realtà è la Campania dove coesistono distretti come quello di Solfora (conceria) e quello di Pomigliano d’Arco, basato sulla presenza di Fiat e Alenia.

In tutti i casi il successo del modello produttivo dei distretti industriali si può riportare a due principali fattori di sviluppo.

Il forte ancoraggio socio-culturale ad un territorio circoscritto favorisce, in primo luogo, una rapida circolazione del know-how e la nascita di una identità comune: non esiste solo la condivisione delle conoscenze tecnico-produttive, in quanto risulta primaria la valorizzazione della cultura imprenditoriale e l’identificazione negli interessi del distretto.

L’altro fattore è legato alla natura reticolare delle strutture organizzative distrettuali rivolte alla flessibilità e molto sensibili al contesto competitivo. Nascono, inoltre, rapporti molto stabili, spesso basati su relazioni di mutua fiducia (anche personali), in grado di favorire la ricerca di nuove forme di coordinamento e integrazione.

I vantaggi legati a questa forma di imprenditorialità sono, quindi, molteplici, a partire dai meccanismi innescati dalla vicinanza geografica in grado di facilitare la trasmissione di conoscenza tra le imprese e tra i lavoratori. La diffusione del know-how, infatti, grazie anche all’effetto della mobilità dei lavoratori, favorisce i processi innovativi e può diventare un traino per lo sviluppo dell’intero sistema industriale.

Nota caratterizzante i distretti è la specializzazione. Le imprese che formano un distretto, come già detto, sono specializzate in differenti fasi della produzione e sono collegate tra loro da intensi rapporti di sub-fornitura. Dal punto di vista funzionale ed organizzativo questa forma di distribuzione del lavoro favorisce l’efficienza dell’intero sistema di produzione locale.

D’altro canto questi fattori, che abbiamo indicato quali aspetti peculiari dei Distretti Industriali, rappresentano, a giudizio di numerosi osservatori, una limitazione al cambiamento. In questa ottica, il distretto è un sistema orientato al proprio interno, un modello incapace di anticipare il mercato e di dare risposte rapide in un contesto in forte evoluzione. I tradizionali punti di forza caratterizzanti le aree distrettuali sono, così, indicati come vincoli al cambiamento.

Prendiamo ad esempio in considerazione l’aspetto delle relazioni tra le imprese.

La natura e l’intensità delle relazioni di cooperazione ha reso, in passato, il sistema molto dinamico riducendo, difatti sia i costi di transazione che gli “sforzi” in attività di coordinamento, essendo il sistema relazionale basato prevalentemente su accordi informali, fondati di frequente sulla fiducia e sulla conoscenza anche personale.

Questo sistema per diventare stabile ha fatto leva su un insieme di pratiche, di sostegno e supporto collettivo, che hanno consentito il superamento di periodi di recessione, facendo nascere un forte senso di identificazione con l’intero sistema distrettuale. Identificazione, quindi, con un sistema ed una realtà legata a regole e formule consolidate, regole e formule che risultano inefficaci di fronte ai processi di globalizzazione ed apertura dei mercati.

Un’evoluzione del sistema dei distretti industriali che permetta di conservare l’enorme bagaglio, culturale e tecnologico, accumulato, nasce da un nuovo modo di intendere l’integrazione.

Non più, quindi, una netta distinzione tra le fasi di un processo produttivo, ma la crescita di una rete di imprese, non necessariamente concentrate geograficamente, orientate a gestire, in modo integrato i processi di progettazione (codesign), e le fasi produttive (comakership), utilizzando sistemi di codifica comuni e sforzandosi di programmare gli impegni e i carichi reciproci almeno nel breve periodo. Nasce quindi la necessità di trovare strumenti in grado di rendere agevole ed efficace lo scambio delle informazioni tra i vari attori per affrontare in modo concreto le problematiche relative lo svolgimento delle singole attività.

L’importanza di queste riflessioni è rimarcata da un fenomeno che si sta accentuando negli ultimi anni. Stanno aumentando gli investitori esteri che assorbono realtà industriali italiane consolidate nel territorio (per valorizzare al meglio le condizioni legate alla cultura e alla storia aziendale e sociale), puntando però ad una drastica ridefinizione del sistema filiera. Cambiando le relazioni con il sistema locale di sub fornitura ed introducendo nuove logiche nella gestione della patnership, con un percorso finalizzato alla messa sotto controllo delle fasi critiche del sistema. In pratica l’obiettivo è quello di fondere le competenze, tacite o implicite, con competenze manageriali ed esperienze industriali.