Tratto dallo speciale:

Demansionamento e risarcimenti: obblighi per i datori di lavoro

di Francesca Vinciarelli

Pubblicato 10 Settembre 2014
Aggiornato 8 Ottobre 2014 08:16

Demansionamento: alla luce della normativa vigente e della più recente sentenza della Cassazione, vediamo quando si configura il danno professionale, biologico o esistenziale subito e quando il lavoratore può chiedere risarcimento.

La legge prevede per il datore di lavoro l’obbligo di garantire a chi assume presso la propria azienda un inquadramento professionale ed economico adeguato alle mansione che è chiamato a svolgere (articolo 2103 c.c.) e che il dipendente sia tutelato anche da eventuali penalizzazioni per quanto riguarda la retribuzione.Nel caso in cui il datore di lavoro non rispetti tali direttive di legge, si configura il demansionamento e il lavoratore demansionato e dequalificato può richiedere di diritto un risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale. Ovviamente, il lavoratore deve essere in grado di dimostrare natura e entità del danno psico-fisico ricevuto, che quindi deve essere medicalmente accertabile. Allo stesso modo anche la penalizzazione reddituale deve essere comprovata.

=> Demansionamento e mansioni superiori: obblighi dell’azienda

Con la sentenza n. 3057 del 29/2/2012 la Corte di Cassazione ha stabilito che per ricevere il risarcimento dovuto il lavoratore deve aver subito un danno in termini reddituali tale da alterare «le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno».

Mansioni superiori

Ricordiamo che una volta assegnate al lavoratore mansioni superiori a quelle precedentemente svolte, l’articolo 2103 c.c. stabilisce che passato un intervallo di tempo stabilito dai contratti collettivi (comunque non superiore ai tre mesi), l’assegnazione diviene definitiva (“promozione definitiva”), a meno che la promozione non sa frutto della sostituzione di altro lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto (“promozione ex lege”). In quest’ultimo caso è consigliabile, ma non obbligatorio, che l’assegnazione provvisoria venga disposta mediante  provvedimento scritto contenente i motivi della sostituzione, senza che sia necessariamente indicato il collega sostituito, e mantenere la retribuzione del lavoratore inerente alle consuete mansioni. Questo per evidenziare la temporaneità delle nuove mansioni, conteggiando eventualmente separatamente i compensi.

La Giurisprudenza punisce infatti l’illegittimo cumulo di brevi assegnazioni a mansioni superiori, mirate ad eludere la normativa vigente che garantisce al lavoratore un adeguato inquadramento professionale. Alla mansione superiore deve infatti corrispondere un adeguato trattamento economico, e in ogni caso non è possibile ridurre la retribuzione.

Mansioni equivalenti

È invece possibile assegnare al lavoratore mansioni equivalenti, che però non coincide necessariamente con la parità di valore o con la mera affinità delle mansioni. Dunque bisogna porre attenzione, oltre a rimanere almeno nello stesso livello contrattuale, al lavoratore devono essere assegnate mansioni equivalenti per contenuto, natura, modalità di esecuzione, esperienza, competenza tecnica e livello professionale.

=> Dequalificazione: comporta risarcimento

Deroghe al divieto di demansionamento

Il divieto al demansionamento da parte dei datori di lavoro può essere derogato in alcune particolari situazioni straordinarie. Ad esempio se la capacità del lavoratore a svolgere determinate mansioni diminuisce al punto di mettere a rischio il suo posto di lavoro. In questo caso l’attribuzione di una mansione di livello inferiore avviene ninteressedel dipendente stesso.

=> Demansionamento del lavoratore: quando è possibile

Simile è il caso di lavoratrici in gestazione, o rientrate dalla maternità fino a sette mesi dopo il parto, per le quali determinate mansioni possono mettere a rischio per la salute.