Tratto dallo speciale:

Contributi: inderogabili i minimi retributivi

di Noemi Ricci

Pubblicato 20 Ottobre 2017
Aggiornato 9 Marzo 2018 18:24

La sentenza della Corte di Cassazione che chiarisce l'inderogabilità dei minimi contributivi previsti dai CCNL per tipologia di contratto.

Con la sentenza n. n. 19284/2017 la Corte di Cassazione ha chiarito l’inderogabilità dei minimi retributivi sotto il profilo previdenziale previsti dai CCNL (Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro). In particolare, ai fini contributivi, la base imponibile è rappresentata dalla retribuzione prevista dalla contrattazione collettiva di settore per tipologia di rapporto. Non rileva l’entità della retribuzione effettivamente corrisposta in considerazione delle sospensioni dal lavoro concordate tra datore di lavoro e lavoratore.

Nel caso in esame il datore di lavoro aveva impugnato il verbale ispettivo INPS con il quale erano state accertate omissioni contributive in relazione al mancato versamento dei contributi sulla retribuzione dovuta in applicazione del CCNL, ai sensi della L. 7 dicembre 1989 n. 389 nonché per i periodi di lavoro irregolare concernenti la posizione di una lavoratrice.

=> Omissione contributiva: retroattività e onere della prova

Il datore di lavoro aveva motivato il proprio ricorso con:

  • la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. ( in relazione all’art. 360, primo comma n.3, cod. proc. civ.) per avere la Corte di Appello attribuito al verbale ispettivo una valenza probatoria privilegiata riconoscendo valore preminente al contenuto dello stesso rispetto alle dichiarazioni rese dai testi escussi ed alle risultanze del libro matricola, con una -2- Ric. 2016 n. 05054 sez. ML – ud. 06-06-2017 Corte di Cassazione – copia non ufficiale errata valutazione delle risultanze istruttorie che, invece, se operata correttamente, avrebbe evidenziato come l’INPS non avesse assolto all’onere di provare i fatti costitutivi delle pretese creditorie vantate;
  • l’errata interpretazione dell’art. 1 della L. 7 dicembre 1989 n. 389 nonché carenza di motivazione in quanto erroneamente il giudice del gravame aveva sostenuto che ai fini contributivi la base imponibile era rappresentata dalla retribuzione prevista dalla contrattazione collettiva di settore per tipologia di rapporto indicata senza che potesse assumere rilievo l’entità della retribuzione effettivamente corrisposta mensilmente in considerazione delle sospensioni dal lavoro concordate tra datore di lavoro e lavoratore.

=> Il minimale contributivo per la pensione

Per i giudici supremi entrambi i motivi sono infondati. Nella sentenza si legge infatti che:

  • la Corte di Appello ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui il verbale ispettivo pur non facendo piena prova fino a querela di falso, è attendibile fino a prova contraria, quando esprime gli elementi da cui trae origine (in particolare, mediante allegazione delle dichiarazioni rese da terzi) restando, comunque, liberamente valutabile dal giudice in concorso con gli altri elementi probatori (Cass. n. 23800 del 07/11/2014; Cass. 14965 del 06/09/2012; Cass. 9251 del 19/04/2010 ex multis );
  • l’impugnata sentenza si è uniformata al principio di diritto cui il Collegio intende dare continuità secondo cui:
“L’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo di quella che ai lavoratori di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale (cosiddetto minimale contributivo), secondo il riferimento ad essi fatto – con esclusiva incidenza sul rapporto previdenziale – dall’art. 1 del d.l. n. 338 del 1989, convertito nella legge n. 389 del 1989, senza le limitazioni derivanti dall’applicazione dei criteri di cui all’art. 36 Cost. (cosiddetto minimo retributivo costituzionale), che sono rilevanti solo quando a detti contratti si ricorre – con conseguente influenza sul distinto rapporto di lavoro – ai fini della determinazione della giusta retribuzione”.

Per i giudici, inoltre:

“Non è configurabile la violazione dell’art. 39 Cost., alla stregua dei principi espressi con la sentenza della Corte costituzionale n. 342 del 1992, per via dell’assunzione di efficacia “erga omnes” dei contratti collettivi nazionali, essendo l’estensione limitata – secondo la previsione della legge – alla parte economica dei contratti soltanto in funzione di parametro contributivo minimale comune, idoneo a realizzare le finalità del sistema previdenziale e a garantire una sostanziale parità dei datori di lavoro nel finanziamento del sistema stesso” (Cass. n. 4926 del 14/03/2016; Cass. n. 801 del 20/01/2012; Cass. n. 16 del 05/01/2012; Cass. n. 2758 del 08/02/2006 (Rv. 587071 – 01)”.