Lavoro: lo stress per orari eccessivi va risarcito

di Barbara Weisz

Pubblicato 7 Novembre 2012
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:45

L’orario di lavoro non deve superare i limiti imposti dalla Legge per la tutela del diritto alla salute, e l’eventuale stress da super lavoro va risarcito: lo stabilisce la sentenza 18211 della Cassazione sul rapporto fra patologie da stress e orari, anche nelle forme di impiego definite come lavoro discontinuo.

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Il caso: un portiere di notte (21:00 – 09:00) causa patologia da stress, aveva chiesto di essere spostato in orario diurno ma si èvisto rispondere con un licenziamento. L’impugnazione del lavoratore, in realtà , è stata respinta dal giudice del lavoro – che ha considerato legittimo il licenziamento per l’effettiva impossibilità  di posti su altri turni – ma ha condannato la società  a pagare i danni (70mila euro), di cui 25mila per quello biologico.

Normativa sull’orario di lavoro

Il lato interessante riguarda le considerazioni sull’orario di attività . La società  riteneva che le mansioni di un portiere di notte potessero ritenersi lavoro discontinuo. Riferimento normativo, l’articolo 3 del Regio decreto legge 692/1923, che considera lavoro effettivo solo quello che richiede «un’applicazione assidua e continuativa» non considerando, ad esempio, «occupazioni che richiedano per la loro natura o nella specialità  del caso, un lavoro discontinuo o di semplice attesa o custodia».

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La Cassazione, invece, ha stabilito che il lavoro discontinuo è caratterizzato da «attese non lavorate, durante le quali il dipendente può reintegrare con pause di riposo le energie psicofisiche consumate». E sottolinea la differenza fra “riposo intermedio“, durante il quale il dipendente può «disporre liberamente di se stesso per un certo periodo di tempo anche se è costretto a rimanere nella sede del lavoro o a subire una qualche limitazione» e “temporanea inattività “, situazione in cui il lavoratore, «pur restando inoperoso, è obbligato a tenere costantemente disponibile la propria forza di lavoro per ogni richiesta o necessità Â».

Il portiere di notte – addetto a ricezione e accoglienza dei clienti e custodia dei valori in cassaforte – di fatto metteva completamente a disposizione dell’azienda «le proprie energie lavorative anche nei momenti di minor traffico».

A questo proposito viene citata un’altra sentenza di Cassazione (n.5023 del 2 marzo 2009), relativa all’incidenza della temporanea inattività  nella determinazione dell’orario nelle ipotesi di lavoro discontinuo (qui, si trattava del caso di un autista di camion, e si escludeva che fossero periodi di riposo intermedio quelli durante i quali, nel corso di un viaggio, l’autista di un autotreno sprovvisto di cabina lascia la guida al compagno).

La sentenza di Cassazione n. 21695 del 2008 stabilisce infine che «il principio di ragionevolezza», per cui l’orario di lavoro deve «rispettare i limiti imposti dalla tutela del diritto alla salute, si applica anche alle mansioni discontinue o di semplice attesa». E visto che in questi casi non esiste un limite d’orario fissato per legge, la valutazione spetta al giudice di merito.

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Risultato: l’azienda in questione è stata condannata a pagare 47mila euro di straordinari notturni e mancate ferie, e 25mila euro per danno biologico accertato nella misura del 15% (la Corte d’Appello ha accertato, correttamente secondo la Cassazione, l’esistenza della patologia e il suo nesso causale con lo “stress” generato dall’attività  lavorativa).

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