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Videosorveglianza: quando la legge controlla la videocamera

di Vincenzo Zeffiri

Pubblicato 21 Novembre 2007
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:45

Spesso la tecnologia arriva a un punto di tale diffusione da richiedere una normativa apposita in materia e altrettanto spesso le disposizioni vigenti limitano notevolmente le possibilità  raggiungibili.

La videosorveglianza rientra a pieno titolo in questa situazione.

Lo stato d’arte di questo settore e le tecnologie presenti sul mercato evidenziano evoluzioni interessanti soprattutto per ciò che concerne i software di elaborazione immagine.

La Axis communication, ad esempio, propone sistemi con una migliore qualità  d’immagine attraverso una scansione progressiva e una risoluzione di megapixel con buoni risultati anche in situazioni particolarmente difficoltose o di ombra riuscendo a ottenere immagini decisamente più nitide, chiare e quindi utili.

La vera svolta, tuttavia, sta nella effettiva applicazione di meccanismi di elaborazione digitale sulle immagini anche di bassa qualità  o su particolari di ridotte dimensioni che possa portare all’identificazione di oggetti, dati o persone.

Ogni telecamera è stata resa intelligente fino al punto di rendersi conto di spostamenti, appannamenti o riduzioni di visuale in qualsiasi contesto. Inoltre, si è cercato anche di risolvere il problema della vera e propria sorveglianza sulle immagini, non più affidata ad un solo addetto che deve destreggiarsi tra diversi monitor ma in buona parte rimessa ad un software di analisi e controllo degli ambienti sensibile ai movimenti in zone strategiche dell’immagine.

Si è di fronte a un panorama di grande avanzamento tecnologico e di reale affidabilità  della tecnologia ma c’è da chiedersi se accanto a ciò non vadano ben considerate le prescrizioni normative.

Se un sistema di videosorveglianza riesce ad essere molto più dettagliato e sicuro nella rilevazione di immagine e dati questo può essere solo un bene per l’azienda che decide di adottarlo ma d’altro canto non sempre ciò che è permesso dalla tecnologia è altrettanto lecito secondo la legge.

In tal senso il Garante della privacy ha emanato il “Provvedimento generale sulla videosorveglianza” del 29 aprile 2004 considerando l’evidente pericolosità  di un apparato di videosorveglianza in termini di limitazioni o condizionamenti nei comportamenti degli individui. In particolare quattro sono i principi da seguire per agire in conformità  alle prescrizioni:

  1. liceità , che richiama le norme contenute nel D.lgs 196/03 (Codice della privacy) e per i lavoratori l’art. 4 del D.lgs 300/1970 (Statuto dei lavoratori);
  2. necessità , che esclude ogni uso superfluo, eccessivo o ridondante di video sorveglianza;
  3. proporzionalità  che ne limita l’applicazione solo in aree evidentemente soggette a rischio e dove non possono essere attivate altre misure perché valutate insufficienti o inattuabili;
  4. finalità , che impone che gli scopi perseguiti siano determinati, espliciti e legittimi in modo da non creare abusi.

La situazione attuale prospetta da un lato un livello tecnologico tale da poter configurare la videosorveglianza come mezzo ad elevata sicurezza e affidabilità  ma dall’altro si delinea un quadro normativo restrittivo con cui bisogna necessariamente fare i conti. I due aspetti possono non essere in conflitto solo se si segue/esegue l’iter previsto dalla direttiva prima di dilettarsi nella scelta della soluzione più adatta alle proprie esigenze aziendali.