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Federalismo fiscale: spesa doppia e tasse +500%

di Barbara Weisz

16 Luglio 2013 13:47

Confcommercio mostra le inefficienze del Federalismo fiscale italiano: le amministrazioni spendono di più e aumentano le tasse su famiglie e imprese: il confronto regione per regione.
Boom di tasse locali

Il Federalismo fiscale all’italiana costa caro a famiglie e imprese: il gettito delle imposte negli ultimi 20 anni è aumentato (+95% quelle statali, +500% quelle locali), l’incidenza delle addizionali Irpef sui salari è triplicata (da 4,2% all’11,2% per  lavoratori single, dal 5,8% al 17,1% per i coniugati).

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E non solo il decentramento non ha portato risparmi, ma addirittura anche la spesa pubblica è raddoppiata: dal 1992 a oggi, quella delle amministrazioni centrali (Stato e altri enti)  è cresciuta del 53%, quella di Regioni, Province e Comuni del 126% e quella degli enti previdenziali del 127%.

I dati emergono da uno studio di Confcommercio e Cer (Centro Europa Ricerche) che rileva:  Nei fatti non si trovano «tracce di compensazione fra i livelli locali e centrali, prevalendo invece una tendenza alla duplicazione di spese ed entrate».

«Il federalismo si ispira ad un principio di responsabilizzazione delle amministrazioni locali ed è una scelta istituzionale efficiente se riesce a favorire una migliore gestione delle politiche pubbliche, determinando una riduzione dei loro costi». «Si è però vistosamente allontanato da questo principio ispiratore», «almeno fino a questo momento».

Secondo l’analisi, serve una diversa attuazione del federalismo, che eviti la duplicazione di funzioni e la sovrapposizione fra tassazione locale e centrale.

Tasse imprese: differenze regionali

Fra l’altro, ci sono marcate differenze fra regione e regione. vediamo ad esempio i dati sulla tassazione delle imprese (confronta anche con gli altri paesi).

Sommando le aliquote di Irap regionale e IMU sulle imprese, si passa dal 3,74% della provincia autonoma di Bolzano e della Val d’Aosta al 6,03% di Molise e Campania,  seguite da Calabria 5,93%, Sicilia 5,88%, Marche 5,79%, Lazio e Puglia 5,58%, Abruzzo 5,36%. Sopra il 4% tutte le altre regioni.

Il peso delle addizionali comunali e regionali Irpef (vai alla riforma del fisco municipale): al top Molise, Campania e Calabria, al 2,83%, mentre le più convenienti sono Bolzano, 1,1%, Trento, 1,23%, Toscana, 1,5%, Val d’Aosta, 1,53%, Veneto, 1,93%. Tutte le altre regioni sopra il 2%.

Infine, rapportando il peso Irap e addizionali Irpef (escludendo quindi l’IMU), al valore aggiunto delle singole regioni, Lazio e Campania risultano avere il peso fiscale più ingente (entrambe sopra il 4%), mentre le più convenienti restano Bolzano, Val d’Aosta, Trento, Baislicata e Sardegna, le uniche sotto il 3%.

Conclusione: «iniqua distribuzione della tassazione sulle famiglie», differenze che rendono «molto complesse le scelte localizzative delle imprese», un’incompiuta transizione verso un federalismo equo ed efficiente, che «impedisce di attribuire le differenze nella finanza pubblica locale a differenze nelle preferenze collettive». Al contrario, spese e imposizione fiscale su base regionale e locale appaiono «il frutto di scelte casuali e disorganiche, al massimo dettate dal tentativo di recuperare gettito al fine di migliorare i saldi di finanza pubblica».