Rivalsa IVA: detrazione anche su fatture false

di Francesca Pietroforte

29 Maggio 2013 12:37

La detrazione IVA a titolo di rivalsa è un diritto che permane anche in caso di fatture false, purché sia evidente e dimostrata l'estraneità al tentativo di frode emerso in sede di accertamento tributario: le sentenze.

Per le fatture ricevute nell’esercizio di attività d’impresa o professione, è possibile detrarre l’IVA già pagata a titolo di rivalsa (co. 1, art. 19, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633).

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In caso di fatture false e altri documenti riferibili a operazioni inesistenti, questo diritto viene meno (co. 7, art. 21) e diventa necessario pagare l’imposta per l’intero ammontare indicato, ma se il  contribuente era inconsapevole e comunque in buona fede detrazione IVA avvenuta su fatture può essere ammessa: è quanto sostenuto da due pronunce della commissione tributaria,  la n. 136/03/2012 della Ctr dell’Umbria e la n. 164/28/12 della Ctr del Lazio.

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Il caso non è raro visto che molte aziende registrano subito le fatture ricevute ma ne valutano la regolarità solo al momento del pagamento, quindi anche dopo mesi: questo lasso di tempo lascia potenziali margini per una detrazione IVA riferita a fattura irregolare o falsa.

Le fatture irregolari (viziate per quantità  prezzi, somma imponibile o imposta) possono essere regolarizzate attraverso una semplice richiesta all’emittente, ma se questi non procede con la regolarizzazione, il ricevente è autorizzato ad apportare autonomamente le dovute modifiche alla fattura (art. 6, co. 8 e 9, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471).

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È evidente che l’irregolarità di una fattura è meno grave della falsità, che ha rilievo penale e opera una sorta di truffa atta a evadere IVA e imposte sui redditi.

Le sentenze salvaguardano il contribuente estraneo e inconsapevole rispetto all’operazione fraudolenta: l’accertamento che pone i presupposti dell’inesistenza delle fatture non è legittimo se se il committente prova, attraverso un’adeguata documentazione che ne testimoni una condotta nel segno della media diligenza, di essere all’oscuro della falsità del documento contabile.

Come spiegato dalla Ctr del Lazio, pronunciatasi a favore del cessionario che aveva detratto l’IVA rispetto a fatture inesistenti della cui inesistenza non era consapevole, il destinatario della fattura non ha il diritto di detrarre le imposte soltanto se è partecipe della frode o se ne ha consapevolezza.

L’onere della prova spetta dunque all’amministrazione finanziaria, che deve dimostrare la consapevolezza del contribuente che ha detratto le imposte, il quale doveva sapere di partecipare alla frode insieme a colui il quale ha emesso le fatture, così come precisato dalla Corte di Giustizia Europea, attraverso le Sentenze C-80/11 e C-142/11, e dalla Cassazione, con la Sentenza 28 marzo 2013, n. 7900.