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Imu, Iva e assunzioni: proposte per uscire dalla crisi

di Nicola Santangelo

12 Giugno 2013 12:37

Si fa sempre più prevedibile l'aumento dell'Iva ordinaria al 22%. Per il momento sappiamo solo che la nuova imposta sul valore aggiunto è già  un'entrata prevista in bilancio. Con buona pace di alcuni partiti politici che, dopo aver intimato la restituzione dell'Imu sulla prima casa, ripiegano adesso sul blocco dell'Iva. Sono, comunque, numerose le proposte sul tavolo del governo e tutte promettono di raggiungere un solo risultato: portarci fuori dal tunnel.

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Dopo il blocco dell'Imu relativa all'abitazione principale sembra quasi certo l'aumento dell'Iva al 22%. La manovra è quasi inevitabile: il mancato introito derivante dalla sospensione del pagamento Imu dovrà  essere necessariamente compensato con qualcos'altro. E questo ammesso che i consumi si mantengano costanti. Perché non è da escludere che crollino. E allora sarebbe stato meglio pagare l'Imu al posto dell'Iva: la prima, infatti, grava maggiormente sui redditi alti mentre la seconda su tutti i contribuenti incondizionatamente.

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Ma c'è anche chi propone l'azzeramento di tasse e contributi per gli imprenditori che assumono giovani disoccupati. Sul fronte occupazionale già  in passato è stato fatto un grande passo avanti privilegiando le assunzioni del Mezzogiorno. Un maggior impegno in tale ambito potrebbe portare ad un rallentamento della caduta del Pil. La soluzione in tema di assunzioni, però, potrebbe essere un'altra. E si chiama Irap. Ma questa, purtroppo, al momento non è presa in considerazione. E' importante rivedere la normativa dell'imposta regionale poiché, incidendo prevalentemente sul costo del lavoro, ne scoraggia le assunzioni soprattutto nelle aziende labour intensive.

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Per quanto riguarda gli immobili è probabile che entro settembre il governo riveda l'attuale normativa mentre il bonus sulle ristrutturazioni e l'Ecobonus sui miglioramenti energetici potrebbero dare una grossa spinta al settore delle costruzioni.

Infine c'è il tanto atteso stop ai finanziamenti ai partiti. Ma anche questo, a pensarci bene, potrebbe non offrire i risultati attesi. L'abolizione dei soldi ai partiti condurrebbe ad un'inevitabile morte dei partiti più piccoli o di quelli nuovi a favore di quelli più grandi ovvero di quelli che hanno alle spalle soggetti con elevate capacità  economiche. Ciò vuol dire che la politica assumerà  le sembianze di una casta piena di soggetti con grosse risorse finanziarie in grado di promuovere il proprio partito. Di contro non si può chiedere ai cittadini di finanziare i partiti con donazioni detraibili. Quello che, invece, sarebbe auspicabile è una maggiore supervisione da parte di un Organo di controllo sulle modalità  di spesa dei finanziamenti.