Rapporto con i dipendenti e innovazione: questione di psicologia..

di Roberto Lodola

Pubblicato 25 Novembre 2008
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:36

Quando un lavoratore non risponde ad un “invito al cambiamento” proveniente dall’alto, mostrandosi insensibile ad eventuali incentivi (anche significativi) o dando prova di non riuscire a modificare le proprie attitudini e comportamenti di fronte ad indicazioni specifiche anche molto persuasive, si è portati con una certa facilità  ad attribuire tale inflessibilità  del dipendente a motivi caratteriali.

Idealismo, intransigenza, testardaggine? In genere si tende a giudicare reazioni e comportamenti come se ci si trovasse in contesti sociali o privati, anche se invece tali dinamiche si attuano negli ambienti di lavoro: così si rischia di non andare in profondità , di non comprendere le motivazioni strategiche e professionali che possono spiegare certe riottosità  quando ci si trova dinanzi a un particolare scenario evolutivo.

In pratica, è raro che ci si soffermi a considerare in maniera analitica i dettagli del contesto e così non si dà  peso all’interpretazione della situazione da parte di un dipendente, nonostante il ruolo fondamentale giocato dalla “visione soggettiva” nelle questioni umane, qualunque esse siano.

Non si dà  quindi peso alle dinamiche proprie al contesto relazionale in cui l’individuo/lavoratore si trova ogni giorno ad agire.
Eppure, soprattutto nelle piccole e medie imprese, queste dinamiche sono spesso fonte di problemi: la struttura delle Pmi favorisce infatti rapporti spontanei e magari appassionati, che però proprio in virtù della loro “vena anarcoide” sono particolarmente esposti a perturbazioni!

Che si tratti di una “politica degli incentivi” piuttosto che del “pugno di ferro”, indubbiamente attribuirne il fallimento al carattere di un lavoratore può garantire, a chi la promuove, una spiegazione di apparente razionalità . Questo non cambia però le cose, e non apre certo le porte a quel benefico cambiamento che ci si auspicava.

Viceversa, prestarsi all’analisi riconoscendo il ruolo fondamentale che l’interpretazione soggettiva gioca nelle relazioni umane (e quindi anche di lavoro), prestando attenzione alla vita soggettiva del lavoratore e alle dinamiche nel suo team, potrebbe rivelarsi la chiave giusta per fare chiarezza sulla discrepanza tra una certa politica direttiva e i suoi (deludenti) effetti, suggerendo piuttosto l’adozione di nuove strategie “personalizzate”, che potrebbero rivelarsi veicoli efficaci per ottenere quei cambiamenti nei comportamenti tanto auspicati a livello individuale prima, e dell’intera produttività  aziendale poi.